Scoperte di petrolio, stoccaggio di gas, proiettili radioattivi, fratture, faglie, abbassamento del suolo. Sono i temi di una riserva tra le più caratteristiche d’Italia. Si tratta di Cugno Le Macine.

Tra nuovo petrolio e gas. Nel 2015, sul The Open Petroleum Engineering Journal apparve uno studio del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio, e delle Infrastrutture del Politecnico di Torino (DIATI, ndr). Riguardava la subsidenza indotta dallo stoccaggio di gas nel giacimento Grottole-Ferrandina, dove bisognava capire gli impatti potenziali in superficie dell’attività di stoccaggio. Lo studio ricordò le difficoltà in merito alle fonti di informazioni, tra cui compagnie petrolifere e enti che avevano diversi parametri e livelli di dettagli nei report, perciò il database dell’Unmig risultò non uniforme. L’Ufficio minerario dello Stato (Unmig, ndr) è dunque in grado di valutare i rischi dell’industria petrolifera? Certo nel ’91 per Agip i campi di Ferrandina e Pisticci “posti in prova per verificarne l’idoneità a lavorare come stoccaggio non avevano confermato caratteristiche favorevoli a tale scopo”. Altrettanto certo è che l’unica cosa valutata è l’affare intorno al giacimento, tanto che nel 2011 in una conferenza del Petroleum Group della Geology Society che si occupò delle nuove emergenze energetiche nel settore dei fossili, nonostante avesse già venduto alla Geogastock spa, Eni dichiarò d’aver scoperto un nuovo giacimento nella riserva Grottole-Ferrandina dove i dati avevano mostravato una sequenza intra-carbonatica e la presenza di un livello impermeabile intermedio e dunque petrolio. Un’idea collegata al pozzo Elce 1 (foto1) che aveva come obiettivo l’analisi della profondità della Piattaforma Appula. E l’interesse per Elce 1 sarà rimasto intatto se Agip ne è ancora l’operatore.

Un paradosso di Stato. Oggi Unmig, lo Stato, scrive che Elce 1 è un pozzo sterile, eppure Eni, la corporation petrolifera di Stato, nel 2011 aveva affermato che a 2.000 metri sottoterra aveva sfondato la sezione della Piattaforma Appula perforando un’unità evaporitica mai incontrata prima, costituita da livelli intervallati di anidrite e carbonato sottile. Eni dice che quel pozzo arriva a 4.268 metri finendo in una sequenza dolomitica/calcarenitica dove vi sono giacimenti di petrolio (foto2, triangolo tratteggiato celeste). Dice pure che “l’estensione regionale di questa unità evaporitica è sconosciuta”, e nonostante l’elevato numero di pozzi perforati attorno a Elce 1 un ampio settore della Piattaforma Appula è “ancora non testato” per comprendere la sezione del Neocomiano/Giurassico, e dunque l’estensione del giacimento petrolifero. L’interpretazione dei dati di gravità suggerì a Eni la presenza di depositi di evaporiti in un allungato bacino intra-piattaforma che “s’estende dalla terra al mare”. L’esistenza del mega giacimento da anni era ipotizzata da Agip, e per Eni era ormai provata dal petrolio di Elce 1. Un petrolio, scrive, simile a quello collegato alla roccia madre del Triassico/Primo Giurassico nell’Italia centrale come Rospo Mare, Miglianico, Ombrina. “Le unità della piattaforma carbonatica – si precisò in proposito del nuovo petrolio di Grottole-Ferrandina – devono manifestare valori bassi di permeabilità se non toccati da intense fratturazioni che avvengono comunemente nelle catene di faglie (la Val d’Agri è il più grande giacimento di gas e petrolio d’Italia) piuttosto che nel dominio dell’avampaese. Ciononostante potrebbero essere accaduti sia eventi paleo carsici sia dolomitizzazioni che hanno migliorato la qualità della riserva”.

Lì dove si stocca il gas. A Grottole-Ferrandina c’è dunque petrolio, probabilmente migliore di quello della Val D’Agri per via della dislocazione ancor più profonda, ma è tempo di mettere il gas. Il DIATI afferma che “la riserva è ospitata dentro una formazione clastica del Pliocene e Pleistocene conosciuta come ‘Argille del Santerno’. Questa formazione è principalmente composta da un preciso tipo di roccia sedimentaria e livelli sabbiosi minori ‘drappeggianti sul substrato superiore del Pre-Pliocene’ formatosi in risposta a tettoniche sedimentarie e/o compattazione differenziale” (foto3). I drappi di sabbia scrivono, costituiscono un peculiare genere di trappole per gli idrocarburi, e i confini settentrionali e orientali del giacimento sono contraddistinti proprio da caratteristiche strutturali e stratigrafiche come l’eterotopia dalla sabbia alla roccia sedimentaria, mentre lungo i confini meridionali e occidentali scorrono i limiti diretti delle faglie come risultato dell’attività tettonica. E le faglie sono presenti sin dentro la riserva, ben definite da due blocchi probabilmente con l’apice della roccia della riserva costituita da una porzione principale della formazione Argille del Santerno. Molti dati raccolti derivano dalle analisi fatte dalla Geogastock per i 57 pozzi nella concessione. Il DIATI dice pure che le sezioni sismiche entro il modello di confini (foto4) mostrano chiaramente la caratteristica geometria dell’Alloctono (foto5) e le sue relazioni con i carbonati sottostanti. “Inoltre – specifica – la piattaforma carbonatica è fortemente fratturata, con alcune faglie che penetrano livelli geologici sovrapposti, Alloctono incluso”.

Proiettili radioattivi. Viste le faglie che penetrano sino a raggiungere l’Alloctono, forse bisognerebbe tenere in conto che i pozzi nella parte occidentale della riserva sono caratterizzati proprio dalla presenza dell’Alloctono, assente invece nella parte orientale. Tra le principali caratteristiche identificate per il DIATI ci sono sistemi di faglie tipici dei depositi carbonatici del Pre Pliocene risultanti da una struttura tettonica distensiva, e depositi clastici del Pleistocene che ospitano il gas. Nel giacimento sono stati caratterizzati una roccia intatta e sistemi di fratture/faglie, e sono stati valutati, si scrive, la subsidenza causata dalle future attività di stoccaggio e le possibili variazioni dovute a stress e deformazioni indotte dalle operazioni di prelievo/iniezione. Per ottenere parametri “in situ” sulla deformazione si usarono marker radioattivi. Li chiamano proiettili, possono contenere uranio, torio, preferibilmente diluiti con sostanze come il bario ricorda Schlumberger, o in cui si ha a che fare con solfato di radio, arsenico, piombo, bachelite e materiali annessi come resine viniliche, metacrilato. La radiografia del giacimento mostrò che rocce sedimentarie e sabbie si riferiscono a formazioni a 800-900 metri o più di profondità naturalmente soggette a stress orizzontali a pressioni maggiori di 8 mega pasqual, i carbonati sono sequenze del Cretaceo superiore. Per queste ragioni secondo il DIATI le caratteristiche meccaniche di queste formazioni sono più simili a quelle delle rocce che del terreno. In ogni caso grazie ai proiettili radioattivi si stimò che i moduli elastici nelle previste fasi di stoccaggio e reidratazione del giacimento risultavano più che raddoppiati. Nello scenario regionale i cambiamenti litologici tra formazioni superiori di sabbie scistose e sequenze inferiori di carbonati del Cretaceo risultavano saldamente intrecciati alla risposta elastica del sistema, come si desumeva dal significativo aumento di alcuni valori di elasticità nei livelli inferiori della riserva.

Chi ha stressato la riserva? In questo scenario in cui le risposte elastiche di materiali a vari livelli risultano intrecciate come in una sorta di domino, nel modello geomeccanico che il DIATI produsse prese in considerazione solo le faglie direttamente interessate dalle variazioni causate da prelievo e iniezione di gas, ossia le due faglie dentro la riserva. Scrisse che gli equilibri stress-deformazioni di tutte le altre faglie descritte nel modello regionale “non erano perturbati dal movimento dei fluidi” e quindi non erano rilevanti. Un grafico mostrò come le faglie “riserva 1” e “riserva 2” rispettivamente confinano e chiudono il giacimento (foto6). Queste due faglie scrisse il DIATI, sono caratterizzate da valori che sintetizzano “un sistema pesantemente influenzato dall’orientamento dello stress del giacimento”. E precisò che nella fase iniziale lo stress originario del giacimento e la distribuzione della pressione nei pori delle formazioni erano state determinate in funzione della profondità, delle caratteristiche delle formazioni rocciose, e della saturazione dei fluidi. Le formazioni della riserva hanno un regime idrostatico che si relaziona in profondità all’originario contatto gas-acqua. Oltre la catena di relazioni tra strati di suolo e movimento dei fluidi bisogna considerare che l’area del sud Appennino analizzata tra l’Alloctono e l’avanfossa è caratterizzata da un regime estensionale attivo, e sulla base dei dati di qualche piano di faglia sviluppati nella regione analizzata disse il DIATI, non è possibile chiarire se lo stress del giacimento Grottole-Ferrandina nell’avanfossa sia normale o si tratti d’una faglia di scivolamento. Certo scrivono, a nord del giacimento uno stress orizzontale c’è stato, ma nessuno ha spiegato il fenomeno.

Quando la terra pulsa. Se si prende in considerazione la produzione storica scrive il DIATI, si nota che la riduzione della pressione nel tempo ha causato una progressiva subsidenza, fino a un massimo spostamento verticale del terreno raggiunto alla fine della produzione primaria nel 2008 (foto7). Dal dicembre del 1962 al novembre del 2008 in relazione all’abbassarsi della pressione del giacimento il terreno si è abbassato di sette centimetri e mezzo. Questi dati storici servono a simulare cosa accadrà in fase di stoccaggio. La strategia di ricarica del giacimento dal 2008 al 2015, scrive il DIATI, mette in evidenza tre scenari secondo diverse pressioni di iniezione. Uno con una pressione uguale a quella iniziale del giacimento, altri due in condizioni di sovrapressione al 110 e 120%. Durante il previsto stoccaggio la ciclicità stagionale dei movimenti del terreno superficiale, Agip la chiama “pulsazione”, e cioè subsidenza e ritorno alla normalità, sono stati valutati al termine di ogni previsto massimo di prelievo di gas e di iniezione. Gli spostamenti verticali massimi ottenuti in condizioni statiche sono di 7,5 centimetri, con un cono di subsidenza esteso per sette chilometri lungo la sezione studiata del giacimento, mentre in condizioni dinamiche 1,8 cm di spostamento verticale lungo quattro chilometri. L’evoluzione della pressione associata allo spostamento verticale ha mostrato che a una pressione uguale a quella iniziale del giacimento alle fasi di prelievo e iniezione corrisponde per diversi chilometri, e in un brevissimo arco di tempo rispetto a quanto prodotto dall’Eni in mezzo secolo, uno spostamento verticale di diversi centimetri (foto8) rispetto all’elevazione originale del terreno prima dello sfruttamento del giacimento.

Deformare milioni di metri cubi di sottosuolo è normale? Il DIATI acquisisce anche i dati del sistema SAR (Synthetic Aperture Radar, ndr) nel periodo 1997-2008 per meglio definire la tendenza di riferimento nell’evoluzione dei movimenti del terreno dell’area studiata. “A parte smottamenti e altre pendenze instabili correlate a specifiche problematiche della struttura geologica – scrive –, nell’area monitorata la media dei movimenti verticali della superficie del terreno a causa di processi naturali e attività antropiche, inclusa la produzione di gas dal sottosuolo, varia tra -2 e +2 centimetri”. Certo dopo aver visionato i dati storici il DIATI è al corrente che sottoposto a compressione il comportamento di rocce e suolo che costituiscono la riserva e le formazioni circostanti risulta fortemente non lineare, “e dipende dalla magnitudo della deformazione indotta nei pori del materiale”. Rassicura però che le attività di stoccaggio producono deformazioni estremamente limitate a una pressione del 120% del valore iniziale, e “non ci si aspetta che i movimenti della superficie compromettano la sicurezza di qualsiasi struttura o infrastruttura”. In realtà la strada provinciale Ferrandina-Salandra, che passa sopra la riserva, presenta vari smottamenti, il DIATI questo non lo sa, ma dice che i risultati ottenuti comparati alle misure dei movimenti della superficie del terreno disponibili dalla letteratura tecnica riguardante l’area, hanno confermato una magnitudo di subsidenza e certe proprietà di deformazione delle rocce selezionate.

Chi ha scelto l’habitat Grottole-Ferrandina? I dati storici di produzione della riserva e l’evoluzione temporale dei movimenti del terreno hanno permesso di sviluppare un modello di deformazione rocciosa molto preciso. Quando si gestiscono variazioni di pressione scrive il DIATI, la sicurezza di ogni sistema di stoccaggio deve essere valutata anche in termini di integrità della roccia di copertura e di possibile riattivazione di faglie. Da un lato c’è il DIATI che afferma che una caratterizzazione meccanica diretta della riserva e delle formazioni della roccia di copertura, grazie all’analisi di laboratorio e ai dati dei pozzi, è ancora necessaria. Dall’altro c’è Eni, che ha studiato la geochimica e l’habitat dei gas naturali in Italia spiegando nel Novanta caratteristiche sfavorevoli allo stoccaggio e specificando decenni dopo la presenza di faglie e fratture che facilitano la migrazione termogenica dei gas generata a profondità oltre i cinque mila metri. Grottole-Ferrandina dice Eni, è “un significante esempio di sistema dinamico di accumulo di gas dove parte dell’originario metano termogenico intrappolato si è perso per diffusione a causa dello spessore minimo della roccia di copertura”, e di seguito è stato sostituito da metano biogenico. Proprio sfruttando quel metano biogenico si è prodotto l’abbassamento di pressione del giacimento a cui è seguito per chilometri l’abbassamento del terreno. Quello che Eni ha fatto in circa mezzo secolo in termini di variazioni di pressione e movimenti del terreno Geogastock stando alle simulazioni intende farlo da un anno all’altro? E coinvolgendo una sottile roccia di copertura? Non sono menzionati effetti a lungo termine, né cosa comporterà variare la pressione in sistemi di faglie e fratture che, da quel che dicono, intrecciano suolo e sottosuolo. Né tanto meno cosa accadrà al movimento dei fluidi sotterraneo. Intanto qualcosa, là sotto, si muove (foto9).
