Dottor Giorgio Santoriello – Associazione di Volontariato Ambientale
Serie questioni personali mi impediscono di partecipare all’importante convegno che lei ha organizzato. Ciononostante, data l’importanza dell’argomento, desidero esprimere le mie opinioni sperando che possano interessare. Se lo ritiene opportuno può leggere questo mio testo in pubblico o distribuirlo.
Interrompere definitivamente iniezioni di fluidi in Val D’Agri
Si devono interrompere per sempre iniezioni di fluidi pressurizzati nel sottosuolo in Val D’Agri e in generale in tutta la Basilicata. Questa è la conseguenza logica di atti e documenti ufficiali di Ministeri ed enti statali, le attività dei quali riguardano la sicurezza del Paese.
La Val D’Agri, come tutta la Basilicata, è indiscutibilmente una delle zone a massima pericolosità sismica del territorio nazionale. In Val D’Agri vengono effettuate estrazioni petrolifere alle quali sono necessariamente associate reiniezioni di fluidi pressurizzati.
Esiste un corposo rapporto sullo stato delle conoscenze riguardo alle possibili relazioni tra attività antropiche e sismicità indotta/innescata in Italia, redatto da un Tavolo di Lavoro (ai sensi della Nota ISPRA Prot. 0045349 del 12 novembre 2013) composto da: DPC (Dott.ssa Daniela Di Bucci, Prof. Mauro Dolce); MISE (Ing. Liliana Panei), ISPRA (Dott.ssa Chiara D’Ambrogi, Dott. Fernando Ferri, Dott. Eutizio Vittori); INGV (Dott. Luigi Improta); CNR (IGAG – Dott. Davide Scrocca, IMAA – Dott. Tony Alfredo Stabile); OGS (Dott.ssa Federica Donda, Prof. Marco Mucciarelli).
Vi si afferma che che l’iniezione di fluidi nel sottosuolo può innescare o indurre terremoti. Argomento che ha generato seria preoccupazioni visto che poi il Ministero dello Sviluppo Economico si è impegnato a far produrre un altro documento (24 novembre 2014) dal titolo Indirizzi e linee guida per il monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro nell’ambito delle attività antropiche da un gruppo di lavoro costituito da Gilberto Dialuce, Claudio Chiarabba, Daniela Di Bucci, Carlo Doglioni, Paolo Gasparini, Riccardo Lanari, Enrico Priolo, Aldo Zollo al fine di “mantenere al più alto livello delle conoscenze gli standard di sicurezza in zone sismicamente attive”.
Complessivamente, si sono espressi formalmente sul problema diciotto persone: ricercatori, docenti universitari, alti funzionari in rappresentanza del Ministero dello Sviluppo Economico e della Protezione Civile, di tutti gli enti statali che, in un modo o nell’altro, si occupano di terremoti (INGV, CNR, OGS, ISPRA) e delle Università di Napoli e di Roma (Sapienza) compilando due documenti ufficiali.
Nessuno mette più in discussione che fluidi pressurizzati possano generare, indurre o innescare terremoti. In zone zone altamente sismiche questi terremoti potrebbero risultare di elevata magnitudo, tanto da generare gravissimi danneggiamenti molto diffusi.
Una lettura attenta dei due documenti citati hanno come necessaria, indiscutibile e indiscussa conseguenza la sospensione definitiva delle iniezioni di fluidi pressurizzati in una zona che, oltre ad essere a massima pericolosità sismica, presenta, secondo uno studio (Geophysical Research Letters, 25 agosto 2014, Fluid injection induced seismicity reveals a NE dipping fault in the southeastern sector of the High Agri Valley (southern Italy)) di un gruppo di ricercatori del CNR una faglia attiva estremamente preoccupante proprio dove sono concentrate le attività petrolifere. È assolutamente doveroso ricordare che lo studio è stato formalmente avallato e condiviso dall’attuale presidente INGV.
Siccome molti dei funzionari, docenti e ricercatori citati rivestono incarichi di responsabilità ufficiali nel quadro della sicurezza nazionale è lecito chiedersi perché non abbiano già preso drastiche decisioni a salvaguardia della vita dei cittadini che in Basilicata vivono. Non ci sono infatti alternative a due possibilità: o credono in quello che hanno scritto (cioè: terremoti potenzialmente innescati da iniezioni di fluidi e pericolosissima faglia attiva presente in prossimità della zona di iniezione) e immediatamente impongono la cessazione di ogni attività petrolifera; oppure se così non fanno, cioè consentono la continuazione delle attività estrattive, rinnegano quanto da loro stessi affermato. Se, come finora appare, è valida la seconda ipotesi è lecito chiedersi se i personaggi citati sono in grado di dedicarsi a compiti concernenti la nostra sicurezza e, in particolare, la difesa dai terremoti. Non c’è una terza possibilità e i cittadini lucani dovrebbero fin d’ora porre il problema su basi legali per gli ingenti danni subiti nella salute e nella devastazione del loro territorio.
Un discorso a parte merita poi l’accordo operativo tra il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), la Regione Basilicata e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) per applicare in via sperimentale gli “indirizzi e le linee guida per il monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro nell’ambito delle attività antropiche di sottosuolo” alle attività di estrazione petrolifera che si effettuano in val d’Agri, area interna dell’Appennino lucano, concessione che è riconducibile a Eni SpA e Shell SpA. “In via sperimentale”!
Nell’accordo viene stabilito che i compiti dell’INGV saranno decisi dalla Regione Basilicata e che rientreranno in un generico supporto all’attività di monitoraggio mediante la raccolta, il trattamento e la trasmissione dei dati al Ministero, alla Regione e al concessionario, nel caso specifico Eni e Shell.
“Il pagamento delle attività di INGV”, si legge poi nella delibera della Giunta del 19 dicembre 2016, “verrà garantito da un fondo istituito presso la stessa Regione, ma finanziato dal concessionario”, cioè da Eni e Shell.
In pratica, il lavoro di controllo dell’INGV viene pagato da Eni e Shell, le cui attività estrattive e i loro eventuali effetti sull’ambiente dovrebbero essere monitorati dallo stesso INGV. Insomma ci troviamo di fronte ad un incongruo evidentissimo conflitto di interessi: i controllori sono finanziati dai controllati!
Con questo accordo si arriva a fare affidamento su procedure che non hanno alcun sostegno sperimentale! Si suppone che l’INGV, tramite un sistema di monitoraggio della sismicità, sarà in grado “immediatamente di segnalare alle istituzioni pubbliche territoriali, al Ministero dello Sviluppo Economico, all’Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse e al Dipartimento della Protezione Civile eventuali anomalie che potrebbero indicare la generazione di sismicità indotta o innescata”.
Nessuno però spiega come si riuscirà a capire che l’induzione o l’innesco è avvenuto o, se è avvenuto, quando manifesterà i suoi effetti. In altre parole, l’INGV al massimo potrà organizzare il cosiddetto sistema “a semaforo”: appena si registra qualcosa, qualunque cosa, si sospende ogni attività. Questo è tuttavia estremamente pericoloso perché basta conoscere un po’ di geofisica moderna per sapere che certi processi possono essere innescati o indotti oggi ma produrre tragedie fra qualche anno specialmente in caso in cui le sollecitazioni durano costantemente nel tempo. Poco o niente si sa di come inneschi e induzioni avvengano e, quindi, in realtà non sappiamo in linea di principio come monitorarli. Non è detto inoltre che inneschi o induzioni producano fenomeni percepibili dal sistema di monitoraggio scelto.
Comunque è incontrovertibile che l’instabilità e i moti della crosta terrestre sono ancora molto poco noti e non possono essere fermati, come avviene per le auto in prossimità di un semaforo quando scatta il rosso.
È scorretto utilizzare scorciatoie senza basi scientifiche per dare l’impressione che la “situazione è sotto controllo” in una zona capace di generare terremoti di magnitudo 7 o più, con decine di migliaia di vittime, come già accadde nel 1857.
Va ricordato per completezza che è stata evidenziata una faglia attiva di notevoli dimensioni che giunge fino alla superficie nella zona ove vengono praticate le reiniezioni. Un’ulteriore ragione, oltre a quella dell’elevata pericolosità sismica della zona, per interrompere le attività petrolifere per sempre. Se tale faglia non esiste la pericolosità resta comunque elevata. Ma dimostra che chi ha la responsabilità scientifica e legale dell’operazione non è all’altezza del compito affidatogli e il problema della sicurezza ne risulta ancor aggravato. A questo si aggiunge il fatto molto inquietante che nessuno dei migliori sismologi dell’INGV (quindi migliori d’Italia e di livello internazionale) è stato coinvolto o si è fatto coinvolgere in questa operazione.
Molte volte nell’ultimo anno, abbiamo chiesto chiarezza su questi argomenti tanto delicati da mettere in pericolo la vita delle persone ma non è mai giunta risposta.
Risulta che non si è ritenuto di fornire esaustivi chiarimenti neanche in risposta ad un’interrogazione parlamentare sull’argomento. Anche se le richieste di chiarimenti vengono ignorate la questione resta in tutta la sua gravità: la zona è altamente sismica, è stata addirittura suggerita la presenza di una faglia attiva che arriva in superficie: ne consegue a stretto rigore di logica che la zona è fisicamente incompatibile con l’immissione di fluidi che va definitivamente sospesa.
Concludendo , ancora una volta chiediamo – e continueremo a farlo finché non riceveremo risposta – se la pericolosissima faglia superficiale in Val D’Agri c’è o non c’è. A questo punto, lo stesso Ministero della Ricerca non può non esprimersi in un senso o nell’altro. Ne va della sicurezza nazionale.
Enzo Boschi
AGGIUNTA
Non è tuttora chiaro quali tecnici e ricercatori sono stati coinvolti nello stilare l’accordo e come si è attuato il loro eventuale intervento e se sono in possesso delle necessarie competenze. Sappiamo che la Regione Basilicata ne ha autorizzato la stipula a dicembre scorso. Non si sa se l’attività sia iniziata, né, in caso affermativo, quali siano stati, fino a oggi, i risultati che, stando a quanto previsto dall’art. 8 dell’accordo, saranno “diffusi, in forma aggregata”, con modalità a noi tutt’altro che chiare, sui siti web dedicati di MISE, Regione e Arpa Basilicata. Non siamo ancora riusciti a trovare dati utili ai fini di una valutazione e non credo che si possa pensare che ci difetti l’esperienza.
Malgrado tutto va ribadito con forza che un ente statale di ricerca, come l’INGV, finanziato dallo Stato ha l’assoluto dovere prioritario di dedicarsi alla difesa dei cittadini, difesa che deve essere tempestiva e che non deve essere messa in secondo piano rispetto a nessun altro interesse o attività.
Dopo il sisma irpino del 1980, la difesa dei cittadini e dello Stato dai terremoti è il motivo fondamentale per cui l’ING prima, e l’INGV dopo, è stato fortemente potenziato e riorganizzato, L’indipendenza dell’INGV è garantita dalla Carta Costituzionale. I ricercatori dell’INGV nella loro attività rispondono alla Carta e ai metodi della moderna Scienza galileiana. Solo così si può pretendere la fiducia dei cittadini.
Fiducia che viene irrimediabilmente compromessa da comportamenti che si appalesano contrari alla difesa dei cittadini e da documentabili carenze scientifiche e tecnologiche.