Bonifiche dei SIN ferme e zone d’ombra. Il Ministero dell’Ambiente teme grave ed estesa contaminazione.
Durante la Conferenze di Servizi del 7 e 25 marzo scorso il Ministero dell’Ambiente ha chiesto a Regione Basilicata, Arpab e privati di accertare eventuali danni alla catena alimentare, sottolineando che urge la redazione di piani di rischio sanitario perché potrebbe essere minacciata la salute di chi ancora lavora in Valbasento e nell’area industriale di Tito Scalo.
I sondaggi a 30 metri di profondità. Nella Conferenza di Servizi del 7 marzo scorso, il rappresentante del Ministero dell’Ambiente, ingegner D’Aprile dice chiaramente che la Materit necessita ancora di ultimazione della caratterizzazione (ossia di analisi estese ed organiche del sito) e successiva messa in sicurezza, contenimento delle polveri d’amianto ed ulteriori indagini di falda, idem l’area della “pista Mattei” anch’essa non completamente caratterizzata, infatti il Ministero chiede chiarezza ed indagini geofisiche su due discariche ricadenti nel perimetro della pista: una di rifiuti solidi urbani e l’altra utilizzata per lo smaltimento di fanghi biologici tra il 1986 ed il 1989 dalla Enichem Fibre. Il Ministero chiede che su 156 sondaggi, almeno tre scendano a 30 metri di profondità!
La contaminazione della catena alimentare: Il Ministero teme profonde infiltrazioni d’inquinanti e chiede “l’interdizione dalla coltivazione e dal foraggio per l’area in questione oltre alla valutazione di contaminazione della catena alimentare”. La paura di contaminazioni nel terreno della Pista Mattei c’è ed è forte. Ma chi è l’interlocutore del Ministero per la bonifica dell’area della Pista Mattei? L’Eni, ossia chi su quel luogo ha usato la discarica. Ma non basta, perché non solo si chiede a “Caino di proteggere Abele”, ma il Ministero chiede ad Arpab di verificare il funzionamento dei piezometri e di indagare in maniera completa tutta la stratigrafia della porzione insatura di terreno. Vale a dire oltre 12 anni di inquinamento accertato ed ancora il Ministero dell’Ambiente non ha dati completi ed attendibili sullo stato d’inquinamento dell’area. Il Ministero aggiunge che solo dopo l’esito degli esami dell’Arpab, allora sarà data immediata comunicazione ai comuni interessati dalla contaminazione, ai fini dell’attivazione delle misure di tutela sanitaria con particolare riferimento alla contaminazione della catena alimentare. Vale a dire che fino a quando Regione ed Arpab, non avranno fatto il loro dovere, la Val Basento è condannata ad una morte ufficiosa non ancora ufficiale. E sapete qual è la beffa oltre al danno? Che per tutta l’area ancora non sono stati stabiliti i valori di fondo naturale per i metalli ed altre sostanze come i solfati: ciò significa che senza un bianco ambientale chi ha inquinato potrebbe attenuare le proprie colpe e dire che lo stato naturale dei luoghi presentava naturalmente ferro, manganese e solfati oltre la soglia di legge. La stessa Ispra lamenta il fatto di non essere stata coinvolta nella determinazione dei valori di fondo naturale.
La zona d’ombra è Tecnoparco: Tecnoparco nelle catastrofiche conferenze di servizi di marzo esce pulita: l’attività industriale più fiorente ed attiva della Val Basento non compare nelle relazioni tra le aziende interessate da fenomeni contaminanti, anzi in Conferenza è anche priva di rappresentante. Tuttavia né sui siti internet di Arpab, né su quello dell’Asi o della Regione Basilicata, né sul sito aziendale stesso compare alcunché. Su Tecnoparco non compare alcun dato ambientale esplicito e contestualizzato, solo un accenno ad un’analisi dei suoli fatta da Arpab ma priva di valori numerici. Ufficialmente non è dato neanche sapere se e quanti piezometri esistano all’interno del suo perimetro, o centraline pubbliche per il controllo delle emissioni dai camini, o gli esiti delle analisi dei terreni effettuati da Arpab.
I conflitti d’interesse nelle bonifiche: la Conferenza chiede ai privati, in base al manuale Ispra sulle bonifiche, la stima del rischio sanitario ed il relativo piano di prevenzione perché le sostanze volatili potrebbero avvelenare l’aria. Il pubblico chiede ai privati di stimare un danno sanitario che se accertato vorrebbe dire chiusura delle aziende ed evacuazione dell’area. Un conflitto d’interesse insostenibile. Infatti nella Conferenza di Servizio del 25 marzo, il presidente della stessa, l’ing. D’Aprile, nell’ottica della semplificazione dei lavori, propone che “ogni azienda della Val Basento faccia i prelievi e le analisi di falda che dopo saranno trasmessi ad Arpab per le valutazioni e le sintesi finali”. Ma tocca all’Eni la parte del leone: infatti in quanto proprietaria della ex-centrale di desolforizzaizone – gas di Salandra Scalo, l’Eni comunica che i solfati sono presenti anche nella matrice suoli e che le attività di bonifica avviate da Eni non comprendono i suoli la cui contaminazione “non è normata”. L’Eni dice che gli scavi di bonifica sono aperti e “devono essere richiusi velocemente”. Ma non basta perché le analisi ambientali dell’Eni non hanno ricevuto contradditorio da Arpab, e quindi ancora non si capisce perché i terreni siano contaminati da solfati e perché Eni non abbia svolto le analisi con Arpab come richiesto dalla precedente Conferenza di Servizi. Quest’ultima sollecita la Regione a dare ad Arpab tutti i mezzi, inclusi quelli economici, per svolgere le attività di monitoraggio affidate ai privati che prelevano ed analizzano senza il contraddittorio del pubblico.
Lo Stato non esiste più? La Conferenza chiede ad Arpab di consegnare entro 30 giorni (quindi un mese fa) un cronoprogramma dei lavori di analisi e studio dei dati sulla contaminazione da solfati sia su terreni che in falda (Val Basento) e l’eventuale correlazione tra loro ed “Eni deve fornire uno schema dell’impianto di desolforizzazione” di Salandra Scalo. A 40 anni dall’attivazione della centrale Eni, le autorità pubbliche ancora non conoscono il suo schema di funzionamento? L’Eni si sostituisce allo Stato? Pare di sì, analizza senza Arpab, fa le bonifiche dei terreni inquinati sotto la sua attività e compare dopo anche nella questione Mythen – Syndial a Ferrandina Scalo. Infatti stando ai verbali, l’Arpab rileva nell’area Syndial contaminazioni esterne rispetto al diaframma, il sindaco di Ferrandina chiede allora in sede di Conferenza di monitorare le falde ed il fiume Basento a monte del comune di Salandra. Perché? Il Ministero in ultima battuta conclude che: la caratterizzazione e la sistemazione dei dati sono di competenza della Regione. Fatto sta che come e cosa scarichi oggi la Mythen rimane un mistero mentre Arpab dovrebbe indagare sulla tenuta del diaframma ed eventuali sorgenti contaminanti esterne. Alla Provincia di Matera il compito di trovare il responsabile dell’inquinamento esterno all’area diaframmata. L’Eni precisa che a causa di forti piogge, sono state convogliate dalla Mythen ingenti quantitativi d’acqua che piuttosto che scaricate sono state raccolte in autobotti ed inviate in impianti autorizzati. La Conferenza si pronuncia in merito dicendo ad Eni che il trattamento delle acque emunte dalla Mythen la prossima volta deve essere fatto previa autorizzazione pubblica: quindi Eni ha lavorato abusivamente?
Gravissima la contaminazione a Pantaniello: i suoli dell’area di pertinenza Gas Plus-Monte Morrone, area Pozzo Pantaniello 1 – Macchia di Ferrandina, stando alla caratterizzazione svolta tra il 2004 ed il 2011, ha contaminazione da piombo e rame per i suoli, mentre per la falde: ferro, manganese, solfati, cromo, tricloroetano e dicloroetilene con valori oscillanti da 2,5 a 34 volte la soglia di legge per il tricloroetano. Nella zona vi sono anche discariche e scarichi di altre aziende che come porte girevoli hanno aperto e cassato attività nel corso degli anni, ergo cosa è successo a Pantaniello – Ferrandina? Chi ha usato questo luogo nonostante i periodi di cessata attività?
I suoli lucani terra di nessuno? I suoli di decine di siti tra Tito e Val Basento risultano contaminati da metalli pesanti, idrocarburi, PCB, mercurio. Il 6 giugno del 2013 il Ministro dell’Ambiente, Orlando, interrogato da un parlamentare lucano dice che: “la Val Basento presenta caratteristiche di elevato rischio ambientale e sanitario” ed addirittura vi è una zona, Pantaniello 1 ove la contaminazione del terreno risulta essere quasi pari all’estensione dell’area stessa (da 2000 a 4000 mc contaminati a fronte di una superficie di 4000 mq). Centosessanta gli ettari interessati da inquinamento di falda; su 67 aziende da caratterizzare la bonifica risulta approvata previo progetto in 3. E le aree agricole? Le caratterizzazioni risultano terminate, ma i dati quali sono? L’inquinamento di falda si è mosso nel sottosuolo, cosa presumibile visto gli strati argillosi del sottosuolo lucano, e potrebbe aver contaminato suoli distanti anche chilometri dalla sorgente inquinante: perché ad oggi tali indagini non sono state ancora svolte? Per quale motivo senza terminare la rete piezometrica a valle sono invece stati piazzati 11 piezometri a ridosso dell’asta fluviale del Basento tra Grassano e Grottole? Chi teme una via di contaminazione a monte del SIN – Val Basento? Quarantasei milioni di euro non bastano a bonificare i Sin di Tito e Val Basento, l’importo realmente utile si aggirerebbe su un importo almeno triplo se tutti i fenomeni inquinanti fossero mappati.
“Terra di mostri più che di fuochi”: pauroso il conflitto d’interessi e di competenze che traspare dalle Conferenze di Servizi. Un decennio di riunioni ove riportare di anno in anno gli stessi ritardi e le stesse inadempienze di sempre, intanto gli inquinanti si spostano ed in alcune zone l’Arpab ammette ”l’impossibilità di collocare piezometri” a causa della presenza di infrastrutture. Tra le varie sostanze inquinanti c’è il tricloroetano che viene rinvenuto ottocentoquindici volte la soglia di legge: quest’ultimo bandito dal 1996 nell’ambito del Protocollo di Montreal per la sua nocività per l’atmosfera, gli insetti e gli ambienti acquatici è un sospetto teratogeno, dal greco “creazione di mostri”, causa malformazione negli esseri umani oltre che aborti.
Il Ministero chiama ma i privati non rispondono: un caso emblematico è quello della ex-Daramic (oggi Step-One), che comunica la chiusura delle attività nel 2010 notificando la sospensione dei monitoraggi ambientali. Nel 2012 l’Arpab in fase di contradditorio, evidenzia nell’area valori di accresciuta contaminazione, infatti il tricloroetilene arriva a 691mila mcg/l, 460mila volte la soglia di legge, gli idrocarburi totali a 39600 mcg/l: dati da Terzo Mondo. L’Arpab conferma questi valori anche per il 2013 e denuncia la mancata sorveglianza della zona tesa solo a peggiorare. Il Ministero ricorda ad Arpab che dovrà prevenire la fuga degli inquinanti all’esterno delle proprietà già contaminate, nonché redigere un’analisi del rischio per il passaggio dei contaminati dalle falde ai suoli. Poi c’è qualche azienda come la Isomax che in sede di Conferenza sottolinea che, nonostante nelle falde vi siano contaminazioni da: ferro, manganese, alluminio e tricloroetilene, sottolinea che:”il proprietario incolpevole del terreno sito all’interno di un sito di bonifica d’interesse nazionale, se non responsabile dell’inquinamento, ha la facoltà e non l’obbligo di procedere alla bonifica.” Affermazioni pesantissime che denotano la concezione che diversi privati hanno dell’inquinamento, come di un fenomeno statico che non minaccia la salute di chi nell’area potrebbe lavorare.
Tito Scalo in ritardo rispetto alla Val Basento. Estese sono le contaminazione di falda in corrispondenza ai perimetri di: Ansaldo STS, Ageco srl, PCC Giochi&Servizi spa, Enel e Talento Professional Store, mentre mancano i dati della ex-Azienda Agricola D. Verrastro. Troppi i ritardi accumulati per i vari ricorsi legali in essere e per alcuni aspetti lo stato d’avanzamento dei lavori è fermo al 2006. In ritardo anche l’Arpab che anche non ha ancor stabilito i valori di fondo naturale relativamente a ferro, manganese e solfati. Tuttavia il Ministero dinanzi la pigrizia dei privati e la lentezza del pubblico, ribadisce un principio sacrosanto che pare attenuare l’odioso conflitto d’interesse che avvolge questa mala-storia, ossia che: ”anche chi non responsabile dell’inquinamento ha l’obbligo di legge (art.245,comma2 del d.lgs 152/2006) di circoscrivere, prevenire e contenere la diffusione degli inquinanti. In caso contrario sarà considerato complice della contaminazione”. Quindi quanti complici si siano susseguiti sino ad oggi spetterebbe ad una più attenta magistratura appurarlo, magari entro il prossimo decennio.
A Tito Scalo il Ministero teme una migrazione degli inquinanti: la zona a valle della ex-Daramic potrebbe essere un naturale via di migrazione ed infatti viene chiesta l’installazione di piezometri per monitorare la contaminazione da TCE rilevata nei pozzi di spurgo degli acquiferi locali. Paura avvalorata dalle analisi dell’Arpab, anche queste non divulgate ma solo citate, che per il 2012 ed il 2013 rileva contaminanti, molti cancerogeni, anche nella falda profonda: tricloroetilene, dicloroetilene, cloruro di vinile, manganese, ferro, alluminio e sommatoria alogenati. Aziende chiuse che per anni registrano nelle relative falde picchi d’inquinamento, com’è possibile? Chi utilizza o ha utilizzato il sottosuolo lucano all’insaputa delle istituzioni? Come appurare le precise responsabilità senza aver fatto il bianco ambientale? Perché Arpab non ha i mezzi per lavorare? Perché i Consorzi Industriali non partecipano attivamente ai monitoraggi nonostante gli acquisti di decine di piezometri girati dalla Regione Basilicata ai due Consorzi nel mese di ottobre 2013 mezzo delibera?
L’immane debito ambientale lucano: alla Basilicata viene chiesto di aumentare la produzione di energia nazionale, senza aver studiato e risolti i vasti fenomeni d’inquinamento ambientale ormai in vita da decenni. La Basilicata ha un debito ambientale non ancora calcolato, perché nessuno ha mai monetizzato il danno sociale, sanitario ed ambientale causato negli ultimi tre decenni da attività industriali e traffici di rifiuti illeciti sul suolo lucano. La Basilicata a questo punto, necessita di giustizia più che di royalties, giustizia per il territorio e per chi è morto a causa di questo modello insostenibile. Presidente Pittella, centinaia di malati cronici o di cancro che ogni anno entrano nelle liste lucane, con picchi per alcune patologie oltre la media nazionale: ciò comporta per la spesa sanitaria un vero salasso oltre che un costo sociale non monetizzabile. Cosa farà Presidente, ha già dato un prezzo alla Basilicata?
Mar, 03/06/2014 – 10:46
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