L’UNMIG, l’ufficio del MISE responsabile della polizia mineraria in Italia, ha sempre promosso il COVA nelle sue ispezioni, eppure leggendo le mail del defunto Ing. Griffa le cose stavano diversamente.

Griffa ha ricevuto un’autopsia a smentita di ciò che invece ci disse la madre per telefono pochi mesi fa, ma nella documentazione in nostro possesso non ci sono tracce dell’esame tossicologico sulla salma, in merito le delucidazioni avanzate al medico legale incaricato all’epoca ad oggi non hanno avuto risposta, sappiamo dagli atti che la famiglia si rifiutò di partecipare all’autopsia.
Nei verbali dei carabinieri di Alba emergono diversi tratti salienti:
- quando i primi volontari della protezione civile arrivarono nei pressi del sito ove Griffa si sarebbe suicidato, tutti hanno verbalizzato le modifiche della scena del ritrovamento di alcuni effetti personali, avvenuta nei presi di una piccola costruzione abbandonata, non lontana dal traliccio ENEL dove il Griffa si sarebbe suicidato;
- il 27 luglio 2013 venivano trovati effetti personali di Griffa in un’area già pattugliata il giorno precedente, quindi qualcuno nella notte tra il 26 ed il 27 aveva spostato il borsello con dentro: documenti personali, chiavi dell’auto e sigarette e la corda bianca che non aveva nè cappio nè segni evidenti di gesti anticonservativi verbalizzano i carabinieri; quindi i carabinieri verbalizzano che stando alle testimonianze dei presenti, quel materiale “…era stato spostato nelle ore notturne a ricerche sospese”;
- Griffa nelle sue lettere dice di comprendere il comandante Schettino, in quanto chiuso da due lati tra i problemi che aveva compreso nel COVA e l’atteggiamento della compagnia petrolifera, e di altri suoi colleghi che, con il loro agire, facevano sentire Griffa un potenziale capro espiatorio di alcune situazioni: la corrosione dei serbatoi, la cattiva qualità del greggio che arrivava a Taranto, i rischi legati alla corrosione causata si pensava inizialmente da batteri, i consumi di glicole aumentati nel tempo, il misuratore di gas della linea 4 del COVA che nonostante il fermo pozzi nel 2013 non diminuiva i suoi valori e Griffa si accorse che il misuratore era perennemente a fondo scala non misurando quindi il surplus di gas;
- ENI Algeria nel giugno 2013 offriva a Griffa 125mila euro di retribuzione annua con ogni genere di benefit ed un rapporto di 1 a 1 tra giorni lavorativi e ferie; Griffa al COVA guadagnava netti 8.200 euro al mese, premi a parte, e stando alle indagini dell’A.G., al momento del decesso aveva un conto cointestato con un parente di circa 350mila euro, ed un altro di circa 50mila, e secondo la Guardia di Finanza senza il riscontro di alcuna anomalia;
- ad un certo punto ENI attiva un team di valutazione del rischio corrosione, ed acquisiscono un parere dalla GE Betz, azienda del settore, che si pronuncia sul fattore corrosivo del glicole e cade quindi l’ipotesi dei batteri corrosivi, questo nel marzo 2013 stando alle mail di Griffa. Tuttavia dalle carte si evince che il problema corrosione era noto perfino alla Regione Basilicata dal 2008;
- durante un monitoraggio interno ENI, effettuato nei mesi dicembre/gennaio 2012-13, vi fu un cambiamento nei campioni prelevati nei serbatoi del COVA con un incremento del COD ( della domanda chimica di ossigeno ) sul serbatoio V220TB001D e del Fe (ferro) disciolto su tutti i serbatoi, passando a valori medi di 500 mg/l a fronte di valori soliti inferiori a 100 mg/l, denotando anche un’alta conducibilità causata secondo ENI dall’alta presenza di ioni disciolti), quindi il ferro disciolto;
- quando il greggio del COVA arriva a Taranto, il campione prelevato diede il 6% di acqua; su un batch di 19000 mc, tale valore corrispondeva a 1140 mc di acqua. Riporta ENI: “… trattasi di un risultato che non ha precedenti, ma che (oltre ad aggravare una situazione già molto precaria) forse testimonia qualche problematica in divenire, finora non individuata e governata.” Il serbatoio T3006 era quello che a Taranto riceveva il greggio lucano e che secondo le mail ENI:”… è stato da pochi anni manutenzionato con rifacimento del fondo, successivamente ha contenuto greggio Val d’Agri e pochi mesi fa è stato messo fuori servizio per perdita dal fondo) “;

- venne avviata anche una verifica interna volta a verificare l’eventuale utilizzo nell’ultimo periodo ( 2012-2013) di prodotti chimici particolari o differenti dal pregresso, sia al COVA che sui pozzi. Riporta ENI:”…Non risultano essere stati adottati prodotti differenti da quanto già in essere precedentemente, ne risultano esservi variazioni sulla formulazione degli stessi. I chemicals utilizzati a partire dai pozzi e, al COVA, sullo stream olio sono: disemulsionante, anticorrosivo, antiasfaltenico.“;
- sempre dalle mail ENI:”…Le ultime partite di grezzo Monte Alpi, inviateci dal centro oli di Viggiano, stanno generando notevoli problemi, per la presenza di consistenti quantitativi di acqua, mista a sostanze non ancora completamente accertate. Quanto segnalato, vedi nostro mail in cronologia, sta comportando prolungati tempi di decantazione nei serbatoi di arrivo del grezzo, lunghi tempi per il drenaggio dell’acqua e problematiche ancora non risolte al successivo impianto di trattamento acque.“;
- Eni avvia anche campionamenti in bombole resistenti all’H2S. Le bombole furono trasportate a San Donato ed analizzate mediante gascromatografo con detector SCD in grado di quantificare l’IDROGENO SOLFORATO , lo ZOLFO DA MERCAPTANI e LO ZOLFO TOTALE;
- in queste analisi rientra anche il Politecnico di Milano;
- le perdite nei serbatoi sarebbero forse partite dal 2008-2010, quindi prima dell’insorgere dei fenomeni di perdita di glicole;
- Eni non riesce a datare il fenomeno e ad oggi non è dato sapere cosa erano quelle sostanze che Eni giudicava sconosciute nel greggio estratto.
Riflessioni doverose, a parte l’unica nota simpatica di questi atti sconcertanti ove un carabiniere scrive “capo d’anno” per indicare il primo Gennaio, è che tutto quello che le associazioni denunciano da sempre è vero, ed era vero e lo scrivono dipendenti di ENI:
- alcuni metalli abbondanti nelle acque della val d’agri, come il ferro, non hanno sempre certamente origine naturale, come riportano sempre le istituzioni, ma possono essere segnale evidente di contaminazioni antropiche;
- ENI ha procedure e tecnologie di controllo che Arpab non ha e non ha neanche in programma di avere, quindi il controllato è di fatto anni luce rispetto al controllore pubblico tecnico, Arpab, che dovrebbe anche essere il referente tecnico della magistratura;
- le comunità locali subiscono procedimenti industriali così complessi da non conoscerne nè il ciclo produttivo, nè le sostanze tossiche che da esso possono derivare: ENI per esempio ammette l’uso di tutta una serie di sostanze chimiche di perforazione i cui elementi costitutivi non sono noti nel dettaglio, e lo stesso dice Total nei verbali su Tempa Rossa;
- i processi industriali sono così complessi che ENI stessa non è in grado di capire per molto tempo fenomeni come la corrosione o la composizione anomala del greggio estratto, quindi come fanno a garantire l’altrui incolumità se neanche loro conoscono le conseguenze o le cause delle loro azioni?;
- ciò che documenta Griffa denoterebbe anche carenze in alcune perizie della procura di Potenza, come quella del Prof. Pavan, il quale trovando l’alluminio oltre la soglia di legge nei campioni peritali lo liquida come causa naturale.
L’Italia si conferma paradiso per le compagnie petrolifere: zero obblighi di trasparenza sul processo industriale, inferiorità tecnologica dei controllori, conflitti d’interesse irrisolti in quanto lo Stato dovrebbe controllare mediante l’Unmig le attività di ENI, ma ENI è di fatto parte strategica dello Stato stesso.