Non ci si può abituare ad un clima sbagliato. In questi anni nonostante le numerose conferme esterne al mio lavoro e a quello di Cova Contro, solo negli ultimi quattro mesi sono giunti:

  • un rinvio a giudizio per diffamazione mezzo stampa, rei di aver smascherato un depuratore privato che non funzionava come doveva. L’aver diffuso un’analisi chimica è diventato potenzialmente reato di diffamazione; il privato avrebbe intimidito finanche un ente di controllo al quale avevamo chiesto accesso agli atti per raffrontare i nostri risultati ai suoi, ed il privato ha posto il veto con fare minaccioso;
  • si è chiuso un dibattimento sempre per diffamazione con una seconda archiviazione a nostro favore perchè il gestore di una cava beccato con terreni anomali e contaminati all’interno delle stessa, ha visto invece la “diffamazione” nei dati sui metalli pesanti in eccesso riscontrati  da noi nei terreni della cava, anche qui la denuncia per inquinamento è diventata diffamazione a nostro carico, 3 anni per archiviare;
  • l’aggressione fisica da me subita 5 anni fa da un sindacalista policorese è ancora in dibattimento, intanto il di lui figlio, politico, mi ha denunciato per diffamazione per un  mio articolo che ha documentato il suo copia e incolla di scritti altrui per compilare i propri. 5 anni per chiudere le indagini a mio carico per diffamazione, con uno spreco di tempo e risorse che mi piacerebbe conoscere;
  • un’altra querela perchè reo, senza aver fatto neanche nomi in questo caso, per aver scritto un post ove sarcasticamente alludevo alla coincidenza che un ex direttore generale della Regione Basilicata, neo blogger oggi, guarda caso aveva una figlia assunta in RAI, e per coincidenza quest’ultima nelle sue inchieste parlava degli impatti del petrolio all’estero ma non in Basilicata…questo sarcasmo anonimo mi è costato addirittura una querela che il giudice non ha ancora archiviato per giunta;
  • una notifica di proroga di indagini a mio carico per altri sei mesi, fino al maggio 2020, relativa a reati diffamatori che avrei commesso nell’arco dell’estate 2018 senza avere ancora il diritto di poter sapere l’identità del denunciante e quindi i dettagli di cosa avrei commesso, indagano su di me in questo procedimento da oltre 6 mesi ma non so ancora i motivi. Mi tornano alla mente le indagini per diffamazione durate 1 anno sui fanghi neri alla foce del Cavone, indagini nelle quali i magistrati appurarono ipotesi di reato più complesse della diffamazione (forse avevano visto l’inquinamento dietro la diffamazione -ndr) ma come spesso accade quando si intravede l’inquinamento poi del procedimento non so più nulla, anche se richiedo di essere avvisato in caso di archiviazione.

Non è possibile fare informazione tra una sequela di intimidazioni e liti temerarie mentre i tribunali, prima ricevono da me e dalla mia associazione importanti dati indiziali su decine di reati, e poi allo stesso tempo per questa “collaborazione” ogni mese mi trovo sul patibolo sommerso di notifiche. Per l’assurdo ordinamento italiano è difficile dimostrare la lite temeraria e la tutela assicurativa ci copre solo per le querele ricevute e non per quelle da noi depositate (non sono giornalista quindi mi difendo da solo con la sola copertura assicurativa, senza editori o casse professionali, o albi alle spalle), quindi un quadro profondamente disincentivante anche nell’avanzare richieste risarcitorie in sede civile. E poi tempo ed energie investite in tribunale e tolte all’attività sul campo sono un ulteriore danno! Non mi sento nè tutelato, nè supportato da questo stato delle cose, a tal punto da ipotizzare ormai finanche lo spostamento di alcune cause per i chiari legami che ci sono tra magistrati locali ed imprenditori oggetto delle mie denunce. Si va avanti senza avere certezze sulla mole del prezzo da pagare: siamo al punto di dover convocare come testimoni i chimici che hanno realizzato le analisi, per testimoniare cosa per giunta? L’ovvio, ossia che il certificato di analisi emesso è veritiero e conforme alle procedure. Doverosamente attento ai dettagli mentre dall’altro lato un’azienda come Eni, per esempio, mi ha pedinato e bloccato su strada pubblica contro la mia volontà, usando personale ed auto aziendali ed allora mi interrogo, disincantato, sulla sorte di molte mie denunce. So quello che ricevo ma non so esattamente quanto tempo e risorse, da almeno 6 anni la magistratura lucana e non, sperpera per le decine di querele a me indirizzate sino ad oggi e tutte terminate con proscioglimenti ed archiviazioni, previ due rinvii a giudizio, in un caso a Napoli nel 2017, perchè un “ecomafioso” di livello nazionale si sentiva diffamato da un mio articolo anche tra i più tranquilli per giunta. In questo clima non si può fare informazione, non si può incentivare i giovani a farla, diventa ridicolo finanche collaborare con la magistratura, del resto se dobbiamo essere sentinelle è anche vero che ci dovrebbe essere un esercito a coprirci le spalle e a difenderci quando accerchiati. Noi denunciamo l’inquinamento ed i mancati controlli e molto, troppo, viene distratto in diffamazione contro di noi, diffamazioni che in 6 anni non sono mai state dimostrate da nessuna controparte…quindi la ragione da che parte sta? L’abuso delle vie legali a scopo intimidatorio vogliamo punirlo o pensiamo che con l’indifferenza si possa sopravvivere? Se si denuncia un reato ambientale e questo diventa diffamazione non dimostrata perchè archiviata, allora la verità è che l’inquinamento non è falso e qualcuno vuole che resti solo ufficioso?

Di Giorgio Santoriello

Laureato in Lettere, attivista amante della Basilicata ma poco dei lucani.