
La notizia è stata battuta il 14 ottobre 2021, anche se è una storia si ripete da circa due decenni.
Secondo le indagini tecniche svolte dai consulenti dei PM non è stato rispettato il piano del ministero dell’Ambiente in merito alla bonifica delle acque di falda. Un portavoce di ENI afferma che: “Eni ha sempre operato nel rispetto dei requisiti di legge e, prendendo atto dei provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria, si riserva ogni opportuna valutazione in sede processuale, continuando a collaborare con la magistratura”. Una amara considerazione, dato che almeno una volta ENI chiedeva scusa per i disastri che provocava.
Sembra una storia surreale ma, in un articolo di Antonello Mangano del giugno del 2013, che titola: “Gela, una tonnellata di petrolio in mare“, leggiamo: L’Eni si scusa («Non succederà mai più»), il sindaco Fasulo assicura «la balneabilità del nostro mare mantenendo sempre alta l’attenzione sulle tematiche ambientali». L’assessore all’ambiente chiede all’Eni una campagna mediatica internazionale che «ci consenta di riconquistare il titolo di città a vocazione turistica»
Diciamo che anche in quella occasione nel 2013, la storia si ripeteva per l’impianto Topping 1 della raffineria dell’Eni, già nel 2003, ricordano gli ambientalisti, fu denunciato un avvenimento quasi identico e nel 2008 la magistratura pose sotto sequestro i serbatoi “colabrodo”.
Cova Contro, come è nelle sue consolidate caratteristiche operative si è immediatamente attivata per comprendere, non avendo la possibilità di accedere ai fascicoli dei PM, dove risiedano le presunte irregolarità che hanno portato la Procura di Caltanissetta a sequestrare la società di Eni che si occupa della bonifica. I dati utilizzati sono quelli resi disponibili dal Programma Copernicus – Sentinel-1 e Sentinel-2.
Quesito. Di contro tutti gli enti che sono impegnati nel Mar Mediterraneo al monitoraggio delle acque superficiali, elencati nei precedenti articoli: Mediterranean Operational Network for the Global Ocean Observing System (MONGOOS) (CMCC, Orbitaleos e Orion) , il MED MFC guidato dalla Fondazione CMCC, il Mediterranean – Monitoring Forecasting Center (MED MFC) e l’Istituto Superiore Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), ente di ricerca del Ministero della Transizione Ecologica come si sono adoperati per monitorare questi continui disastri nel nostro bel Paese e nel Mar Mediterraneo? Quello che ci è dato a sapere, in considerazione che nessun ente sopra citato ha presentato con vigore e a vario titolo studi di monitoraggio, è che tutti si sono radunati recentemente a Firenze al Earth Tecnology Expo. Il messaggio che è emerso da questa manifestazione è che: “Per la prima volta l’Italia mette in mostra la sua straordinaria capacità di saper creare, innovare e utilizzare tecnologie per migliorare la qualità della vita delle persone, dell’ambiente e delle città, per la sorveglianza dallo spazio del territorio, per la conoscenza e il controllo del sottosuolo, suolo, mare, acque, aree boscate e ambienti urbani. Tutta la gamma di prodotti ad alta tecnologia realizzati e utilizzati, presentazione di ricerche e invenzioni sorprendenti destinate ad una applicazione diffusa, soluzioni intelligenti nella produzione e gestione dell’energia, nella gestione dei servizi pubblici e dei servizi ai cittadini, per la qualità dell’abitare, la tutela dell’ambiente, la mitigazione degli eventi meteo-climatici e degli effetti del riscaldamento globale, le smart city, la telemedicina, la qualità del lavoro, l’economia circolare, la produzione agricola, la gestione dei dati. ISPRA partecipa a numerosi incontri”.
Andiamo per ordine. Quali dati abbiamo per comprendere la motivazione del sequestro della società che gestisce le bonifiche a Gela? Quale bonifica non è stata realizzata e a quale anno si riferisce? L’immagine che segue, relativa ai fatti del giugno del 2013, permette di osservare che a distanza di più di un mese le chiazze di idrocarburi sono ancora presenti nelle aree prospiciente le spiagge a sud di Gela.

Nell’agosto e a ottobre del 2015 alcuni casi anomali di sversamento in mare misero in allarme i residenti e i molti turisti che affollavano le spiagge del litorale di Gela. Per il primo caso nei primi giorni di agosto, diverse verifiche furono condotte dai militari della Capitaneria di porto segnalarono, almeno in due occasioni, responsabilità della società Caltaqua, gestore dei sistemi di sollevamento pompe e depurazione della zona.
Il secondo caso avvenuto i primi di ottobre, si riferisce allo sversamento di idrocarburi in Contrada Marabusca, interessata da una fuoriuscita di idrocarburi da una condotta sotterranea che collega il pozzo “Gela 71” al cluster “A”, di proprietà ENI – interdetta l’area fino alla bonifica. L’immagine che segue è del 19 dicembre 2015. La data è ben lontana dai casi sopra riportati dalla cronaca locale e di cui si è interessala la Capitaneria di Porto e la Procura della Repubblica di Caltanissetta.

Considerazioni
Gli Enti Nazionali ed Europei che sono deputati al monitoraggio del Mar Mediterraneo da sversamenti accidentali e non di idrocarburi, sonnecchiano? Non sembra, lanciano proclami, campagne marketing e fanno sfoggio nei loro articoli pubblicitari, di possedere tutte le professionalità e i più moderni strumenti per il monitoraggio satellitare. Dovremmo chiaramente stupirci nel leggere che l’ISPRA effettua il monitoraggio delle meduse da satellite e non degli sversamenti di idrocarburi? Perchè Cova Contro pubblica dati ed immagini che potrebbero pubblicare le autorità?
D’altronde l’ultimissimo lancio pubblicitario del Progetto Europeo soil4life, attraverso un accattivante video, ci illustra come avviene il monitoraggio del territorio attraverso i satelliti del Programma Copernicus e ci rammenta che “Nello spazio c’è qualcuno lassù che osserva, che controlla lo stato di salute della terra e ci riferisce le sue condizioni”. Già ma di questi dati le istituzioni che uso fanno?
Conclusioni
Le nostre aree di analisi fortunatamente cambiano, ma le conclusioni sono spesso ricorrenti. L’immagine del 19 dicembre 2015 mostra chiaramente la scia di sostanze oleose, probabilmente riconducibili a idrocarburi, di una lunghezza di circa 45 km.
Nello stesso periodo (dicembre 2015), l’ENI trasmette una relazione al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare per la Raffineria di Gela in cui emerge che: “Sulla base di quanto sopra riferito si ritiene che l’uso del sito ad oggi non generi un rischio rilevante di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee e che conseguentemente le sostanze pericolose indicate al paragrafo 5.1 possano essere considerate come non pertinenti ai sensi del D.M. 272/2014. La dimostrazione non solo dell’inconsistenza dei mezzi di repressione statali verso i reati ambientali, ma anche l’incapacità di ENI di non monitorare anch’essa dallo spazio gli impatti delle sue attività in mare eppure ENI gli accordi nel settore spaziale ce li ha allora delle due l’una: sono tutti incapaci nel guardare o tutti nascondono i dati satellitari?