Ma a trovarli nel 2015 è stata Sogin non Arpab: sono gli stessi contaminanti trovati nelle falde dell’Itrec di Trisaia
È confezionato bene, bello da vedere ed apparentemente pieno di contenuti, ma è un “pacco napoletano” – si chiama Re.Mo -, il nuovo geoportale che Sogin sta attivando per tutti i siti nucleari in dismissione. A primo impatto Re.Mo sembra un salto di qualità verso il futuro invece è un “sito per le allodole”, ove le funzioni ed i menù si ripetono per fare massa con le solite informazioni di provenienza Sogin, ossia del controllato.
Il monitoraggio convenzionale della Sogin si ferma per le falde alla SS 106, una sorta di vallo di Adriano che pur non essendo un confine naturale viene trattato come tale, e stranamente il monitoraggio più approfondito quale poteva essere? Ma quello acustico ovvio, i cui improbabili sforamenti, sarebbero il vero problema da attenzionare per un ex-impianto nucleare.

La Sogin nell’ambito delle sue attività svolge un lavoro migliore di Arpab ( come al solito ) e monitorando le acque superficiale del Sinni trova, perché cerca, più sostanze rispetto ad Arpab: l’ultimo giudizio sullo stato di salute del Sinni da parte della Regione Basilicata risale al 2006, con il 60% dei punti di campionamento giudicati “gialli” ossia “molto inquinato/alterato” , la prova che l’oasi del WWF del bosco Pantano di Policoro forse tanto “protetta” non è.
Sogin è furba, ed effettua i campionamenti a monte della SS106, addirittura più a nord anche rispetto l’ultima azienda di estrazione di inerti e nonostante tutte queste precauzioni, nel Sinni rileva: idrocarburi totali a 140 mcg/l e cromo esavalente a 0,53 mcg/l: guarda un po’ nel fiume ci sono le stesse sostanze che stanno contaminando da tempo le falde sul versante opposto in agro di Rotondella, in area agricolo-residenziale!
Sogin tuttavia ci fa un favore, e mette nero su bianco le carenze della Regione Basilicata, e riporta nella relazione dell’impianto ICPF (Impianto Condizionamento Prodotto Finito) che:”non è possibile conoscere la qualità dell’aria nella zona perché la stazione regionale di controllo dell’aria più vicina ( per i parametri chimici convenzionali – ndr ) è a Pisticci”!
Stupendi i grafici Sogin sull’andamento dei venti, con panoramiche satellitari che partono dal Nord Africa per mostrare l’incidenza dello Scirocco, però la medesima modellistica non viene elaborata per l’eventuale dispersione di particelle radioattive in aria, per esempio dal camino dell’Itrec, o per gli effluenti radioattivi scaricati a mare.

La contaminazione da sostanze cancerogene è ad est dell’Itrec, a ridosso della strada provinciale per Rotendella, in area agricola ( ma le icone di Re.Mo sono “sintetiche” su questo aspetto ), eppure Sogin afferma che la contaminazione arriva dall’esterno del sito: può darsi, ma come è possibile che la contaminazione sia anche a monte? L’inquinamento risale? Fonti accreditate ci avrebbero confidato che la contaminazione sarebbe causata da vecchi serbatoi interrati risalenti ai tempi dell’Agip Nucleare e quindi alle attività di lavorazione dei decenni passati: quindi la contaminazione quanto è vecchia ed estesa?
La superficiale stampa lucana ha dimenticato di scrivere che la contaminazione, anche al di sotto delle soglie di legge, riguarda almeno 10 piezometri, in uno ci sono tracce di cloruro di vinile (come all’impianto di Latina ) e che la trielina è oltre soglia in 7 piezometri di falda, con valori anche di 50 e 100 volte superiori la soglia di legge. Ed il Sindaco di Rotondella alla luce di un’estesa contaminazione di falda in aree popolate e coltivate cosa fa? Niente, zero ordinanze così zero danni all’immagine e passa la paura.
La Sogin giustamente afferma nel rapporto sull’ICPF, a pag.86, che le sue attività non hanno avuto alcun impatto, tuttavia senza studi idrogeologici e geochimici come facciamo a capire l’interferenza tra le palificazioni in cemento armato, lunghe diversi metri, e le falde? Cosa esclude che la costruzione dell’impianto ICPF non abbia spostato i contaminanti? Siamo sicuri che il cantiere è stato fatto previa vera indagine ambientale o i lavoratori hanno lavorato in un’area contaminata? I lavori di fondazione dell’ICPF avrebbero potuto intaccare quei “serbatoi interrati” e sprigionare la contaminazione? A p.92 invece quando si parla di suoli, non compare una sola analisi, tutto rimandato ad altra documentazione.

Il monitoraggio radiologico invece è “formalmente” più esteso di quello chimico convenzionale, ed arriva al mare, anzi prosegue sotto-costa ed interessa anche le matrici fluviali tra Policoro e la SS 106 ed il lido di Rotondella. Sogin fa quello che non fanno né Arpab né Azienda Sanitaria di Matera: lo studio della fauna ittica a ridosso dello scarico. Ma Sogin ci dice che è tutto a posto e per farlo inserisce la foto di una cassetta di pesce pronta per il mercato ittico: tanto vige l’auto-controllo!
Sogin intanto, auto-attesta nel 2014, di aver assolto a tutti gli obblighi di trasparenza e pubblicazione. Il geoportale dimentica ovviamente di inserire le informazioni relative alla aziende coinvolte nella bonifica/decommissioning e relativi certificati antimafia, ma va bene così, è tutto a posto. Vediamo se anche l’Euratom la pensa così.