di Giorgio Santoriello, Gian Paolo Farina ed Andrea Spartaco.

Quei valori simili a Fukushima ma ben celati sottoterra: per quanto?

L’impianto Itrec ha un piano d’emergenza esterna di durata quinquennale, infatti l’ultimo risale al 2008 ed è scaduto l’anno scorso: al momento il centro nucleare dell’Itrec non ha un piano d’emergenza aggiornato e valido, quindi in caso d’emergenza nucleare, eventualità prevista dal piano in questione, vi sarebbe un “preciso” iter di allerta ed evacuazione da eseguire.

Una catena di comando e controllo di cui il territorio, le istituzioni locali e la popolazione del posto sanno poco, quasi nulla, anche perché nessuna struttura pubblica coinvolta nel piano d’emergenza ha mai simulato un vero allarme, quindi l’addestramento all’evento ipotizzato è pari a zero. Perdonate i voli pindarici che troverete nell’articolo, ma l’esposizione dei contenuti è fedele al corpus testuale del piano stesso: un documento che più lo si legge più allarma, perché fa sorgere tanti interrogativi e tanti dubbi ma pochissime certezze.

La geologia della Trisaia è un catalizzatore naturale. Stando al piano di bonifica della Sogin, l’area dell’Itrec dovrebbe un giorno tornare a prato verde, quindi restituita a madre natura con un rassicurante verde superficiale: peccato che sotto al prato possa celarsi altro. Il piano d’emergenza del 2008 ricostruisce nella prima parte il contesto territoriale in cui ricade il sito dell’Itrec: geografia, economia, demografia, geologia, meteorologia, infrastrutture, idrologia; a tratti con particolare meticolosità in altri con superficiale approssimazione. Colpisce il primo parere dato alla qualità delle sabbie (quarzo albitico e calcite) e delle argille presenti naturalmente sotto al sito dell’Itrec: “studi sperimentali (fatti da chi, quando e come non è dato sapere) hanno rilevato che alcuni radionuclidi (Cesio e Cerio) sono trattenuti molto efficacemente dall’argilla e dalle sabbie del sito, mentre altri radionuclidi come lo Stronzio sono trattenuti in misura minore”. Quindi se si fossero preventivamente ipotizzate emissioni esterne di cesio 137, che ad oggi è il radionuclide più abbondante nelle rilevazioni Arpab su mare e fiume, allora il territorio sarebbe stato individuato perché geologicamente idoneo ad uno stoccaggio “naturale”, un sorta di enorme filtro già pronto. Si ma a spese di chi?

La fauna ittica sorvegliata speciale. Il piano continua con un’analisi statistica delle colture della zona, e dopo aver liquidato il settore terziario come “scarsamente sviluppato” (sicuramente lo studio è aggiornato agli anni ’80), passa all’agricoltura. Qui stupisce il fatto che l’enorme e variegata produzione agricola metapontina venga liquidata in un paio di tabelle mentre un’attività definita marginale come la pesca, riceva dall’autore del piano d’emergenza una strana meticolosità analitica. Infatti per la pesca vengono censite le famiglie della zona che la praticano, indicandone numero dei membri, quantitativi di pescato, tipologia della fauna ittica destinata all’autoconsumo ed eventuali punti di smercio del pesce esportato. Nei nuclei vengono censiti anche i minorenni inferiori ai 12 anni, probabilmente perchè gli effetti sanitari di eventuali radionuclidi diffusi all’esterno avrebbero su di loro dinamiche contaminanti differenti dagli adulti, fatto sta che la pesca viene attenzionata particolarmente, cosa che non accade per l’agricoltura, e guarda caso dagli anni ’70 (come documentato da Andrea Spartaco nei suoi articoli precedenti) fino al 2011 proprio in mare si registrano tracce di radioattività oltre la soglia naturale, con valori che proprio nel 2011 superavano quelli registrati per il fall-out di Chernobyl.

In caso di incidente, l’Itrec scaricherebbe subito in aria. A pagina 32 del piano, viene menzionato per la prima volta il “camino” dell’Itrec, uno struttura alta 60 mt, che fa parte del ciclo non proprio chiuso dell’Itrec, che oltre a scaricare in mare, potrebbe in alcune situazioni scaricare in aria: ma in quali occasioni? Il camino emetterebbe gas radioattivi in atmosfera in caso d’incidente nucleare all’interno dell’Itrec, ma funzionerebbe anche il resto dell’anno durante la normale attività. Infatti il camino ha dei filtri, definiti di tipo assoluto, e degli scrubber: il tutto pare sia super monitorato e controllato sistematicamente, tuttavia nel piano d’emergenza si ipotizza, tra le varie tipologie d’incidente, la caduta nella piscina di un elemento di combustibile, ed in tal caso quel camino sarebbe la valvola di sfogo nell’atmosfera dei gas radioattivi prodotti dall’incidente. Ma se un giorno ciò accadesse, la gente e le istituzioni locali sarebbero pronte ad affrontare l’emergenza? Più avanti il piano d’emergenza dà per scontato che dal camino dell’Itrec vengono emessi, senza specificare la cadenza, gas radioattivi come il Krypton 85 ed altri particolati, mentre i rifiuti prodotti all’interno dell’impianto vengono stoccati, riporto testualmente, in normali “fusti petroliferi”. Alla fine il piano d’emergenza ci tranquillizza perché a pagina 49 ci dice che, in caso di caduta nella piscina di un elemento di combustibile: ”la totalità dei radionuclidi gassosi, Krypton 85, sono rilasciati istantaneamente dal camino”. Grazie, ci voleva proprio, una bella notizia che più da piano d’emergenza sembra un piano di sicurezza interno del centro che non potendo far fronte ad una situazione preventivabile come questa, decide di scaricare in aria, su case, persone, terreni ed animali. Un ottimo lavoro non c’è che dire, un esempio di ciclo chiuso ove i lucani sono solo un effetto collaterale, perchè “I gas radioattivi uscirebbero dal camino se il sistema di ventilazione funzionasse, altrimenti uscirebbero sul piano campagna; lo scarico in atmosfera sarebbe contestuale all’evento ipotizzato” recita il piano: difficile rimanere tecnicamente lucidi dinanzi a queste parole che sanno di danno disumanamente calcolato, di cittadini italiani ed europei trattati ancora nel XXI secolo come pedine sacrificabili per un meccanismo che si incentra su dei rifiuti, si nucleari, ma scarto di altri: suona davvero di bestemmia. E dal camino non uscirebbe solo Krypton, ma vengono preventivati nel piano anche: cesio, stronzio, plutonio, uranio, torio, radon, trizio, europio, insomma buona parte della tavola degli elementi.

L’alta radioattività nell’Itrec. A pagina 33 c’è la tanto segreta mappa del sito, una planimetria poco chiara e leggibile corredata di legenda, la quale ci ricorda la storia ufficiale, e quella meno, del sito lucano. Infatti nella planimetria vengono evidenziate due aree, la 111 e la 112, rispettivamente: pozzi residui solidi alta attività e fossa residui solidi alta attività, ove per alta attività si intendono una vasta famiglia di sostanze che possono decadere anche nel giro di migliaia d’anni e che hanno effetti disastrosi sulle forme di vita. A pagina 38 appare per la prima volta la descrizione di un sistema difensivo in caso d’incidente: ”nel complesso dell’edificio di processo e del parco serbatoi è in esercizio continuo un doppio sistema di contenimento dinamico che in base alla tipologia d’emergenza, crea un’adeguata cascata di depressioni sempre maggiori passando verso zone ritenute a rischio più elevato. Il sistema crea anche le condizioni termoigrometriche adeguate, presso quei locali ove dovesse rimanervi del personale. L’altro sistema mantiene invece in depressione il contenimento primario del materiale radioattivo.” Parole vuote ed ostiche queste, delle quali i cittadini e gli amministratori non comprendono nulla di concreto, e quello che non si capisce difficilmente fa sentire al sicuro.

L’Ispra fa davvero tutto ciò che potrebbe? Tra le varie sostanze ricercate nelle analisi riportate nel piano, spunta il Plutonio 239 nella matrice limo fluviale. Perché cercare il plutonio nel Sinni? Cosa c’è di altamente radioattivo da cercare nel fiume, quindi all’esterno del perimetro Itrec? I dati ambientali era meglio non riportarli nel piano d’emergenza perché ogni volta che il piano si addentra nei tecnicismi si lascia scie di dubbi e contraddizioni. Ispra, che dovrebbe effettuare controlli periodici invece riceve solo i dati prelevati da altri (Sogin ed Arpab, quest’ultima solo da qualche anno), ed i dati citati sono fermi al 2005. Non sono illustrati i punti di campionamento e mancano all’appello diversi mesi per differenti analisi, il risultato è il solito pressapochismo di una democrazia incompleta. Anzi gli strumenti di rilevazione, desumiamo di Sogin, sembrano rilevare la radioattività “quasi per favore”, infatti col tempo Arpab chiederà a Sogin di affinare e precisare le rilevazioni impostate solo sui parametri di sicuro pericolo/contaminazione. Il discorso è sempre lo stesso: la scienza attesta in alcuni casi, e avanza possibilità su altri, che anche dinanzi ad esposizioni costanti e prolungate nel tempo, ad agenti inquinanti/contaminanti costantemente al di sotto della soglia di legge ma perennemente presenti, il corpo umano possa comunque ricevere danni cronici e/o mortali. Qualcuno a Sogin, che nella vicenda Itrec sembra controllore e controllato, l’ha spiegato?

I Prefetti lucani firmano da anni un piano fasullo? Il dlgs. n.230 del 17/03/1995, stabilisce all’art. 115 che: “ i piani d’emergenza (ndr) sono oggetto di esercitazioni periodiche, la cui frequenza è stabilita negli stessi – prevista la creazione di squadre speciali d’intervento con idonea preparazione ed attrezzatura – in caso di emissioni radioattive esterne all’impianto e ricadenti in ambiti portuali o demaniali marittimi, la comunicazione deve essere inoltrata alle autorità marittime”. All’art. 126 troviamo che: ”ciascuno negli ambiti di propria competenza, deve effettuare esercitazioni periodiche al fine di verificare l’adeguatezza dei piani di emergenza”. Abbiamo il ragionevole dubbio che nessuno di questi tre punti sia mai stato riportato e/o rispettato all’interno del piano d’emergenza esterna dell’Itrec, una mancanza che potrebbe essere addebitata alle autorità prefettizie e che meriterebbe immediata risposta. Il Prefetto è il responsabile dell’attuazione del piano, in caso d’emergenza si coordina con i sindaci dell’area e vigila sull’attuazione dei servizi urgenti da parte delle strutture della Protezione Civile. Quest’ultima, ha in Basilicata i mezzi e la formazione per affrontare un’emergenza nucleare? Se si verificasse un incidente di vaste proporzioni, il servizio di elisoccorso sarebbe attrezzato in caso di contaminazione radiologica? Potrebbero intervenire anche in fasce notturne? Questo piano d’emergenza esterna è scaduto, si poggia su informazioni parziali e sembra un mero adempimento burocratico.

Perché della contaminazione dell’Itrec se ne parla a Vienna? In Austria si è parlato, in un convegno del luglio 2010, della contaminazione dell’Itrec di Trisaia: i relatori erano Sogin e Nucleco. Nel rapporto “austriaco” si parla di tre edifici interessati da forte impatto radioattivo anche se sulla mappa sono indicate altre aree, pare, meno contaminate delle prime. I radionuclidi presenti nell’Itrec sono: gli attinidi – Uranio 233,234,235,238 – Torio 232 – prodotti di fissione Cesio 137 e Stronzio 90, prodotti derivanti dall’attività dell’impianto come Cobalto 60, Nichel 59 e 63 ed Europio 153 – 154. Di questi, poco più della metà dei radionuclidi elencati vengono classificati come HTM, ossia come “difficili da misurare”. La relazione illustra diverse tipologie di spettrogammetrie realizzate con strumentazioni capaci di rilevare, oltre la pareti degli ambienti contaminati, i radionuclidi e le emissioni ionizzanti: in tutto vengono citati 6000 esami a bassa ed alta risoluzione. Cosa dicono gli studi di Sogin e Nucleco discussi in Austria ma mai in Basilicata?

Nell’Itrec valori simili a Fukushima? Le analisi dello studio, riportano l’esistenza di un locale nell’Itrec, ove 4 radionuclidi sono ad una soglia molto elevata rispetto al margine di riferimento ambientale con valori di 10 Bq/cmq o superiori ( simili ai valori rilevati sulla pelle dei lavoratori Tepco a Fukushima ), mentre quasi la metà della superficie dei locali dell’Itrec ha un livello di radioattività superiore alla soglia di riferimento. Il cesio 137 è l’isotopo più diffuso nei locali Itrec, spesso abbinato allo stronzio90. Il cobalto 60 è presente in 4 locali, l’europio 154 solo nelle aree più contaminate. Tali studi sembrano siano stati effettuati per semplificare le procedure di rilevamento e per abbassare i costi della caratterizzazione nucleare. Tuttavia questi esami, a detta degli autori, non illustrano completamente il quadro dei radionuclidi difficili da rilevare, né delle sostanze radioattive derivanti dai radionuclidi chiave, come recita la parte conclusiva della relazione. Perché nonostante i diritti di trasparenza, informazione e tutela sanitaria, la Sogin continua a non dire la verità alle comunità del Metapontino?

Il rapporto Enea dice che tutto va bene, poi parla di malfunzionamenti. Nella “Dichiarazione Ambientale” del 2010 curata da Enea troviamo altri tasselli del mosaico nucleare lucano. Degna di nota è la sede di rappresentanza dell’Enea a Bruxelles della quale ci piacerebbe conoscere la reale utilità ed i relativi costi di mantenimento, poco giustificabili a fronte delle carenze comunicative riscontrate in patria, soprattutto in materia di monitoraggi ambientali. Nel rapporto vengono elencati gli incidenti accaduti nella storia del Centro, verificatisi quasi esclusivamente, nell’impianto ITREC, gestito solo dal 2003 dalla celebre Sogin. Per tutti i malfunzionamenti accaduti, non è mai stato necessario dichiarare l’emergenza esterna in quanto non si sono raggiunte le soglie previste dalla normativa vigente in materia (DPR 185/64 abrogato e sostituito dal D.Lgs 230/95): sarà vero? Secondo questo curatissimo rapporto, gli ultimi studi ecologici, sanitari e radioecologici sono compresi tra il 1969 ed il 1984: l’Enea si vanta in pagine e pagine della sua meticolosa e altamente qualificata attenzione per l’ambiente, ma dati reali e leggibili sulle matrici ambientali stentano ad essere citati, e le emissioni in atmosfera da parte dell’Enea hanno ben poco di “ambientale”, e vedremo nel prossimo articolo i tonnellaggi di CO2 pompati nell’atmosfera negli ultimi anni.

Emergenza nucleare: una catena scatenata. La bonifica se fosse iniziata ad insaputa della popolazione dovrebbe immediatamente essere pubblicizzata, e contemporaneamente dovrebbe essere compilato un vero piano d’emergenza esterno, vista la pericolosità ambientale e sanitaria dei lavori di bonifica. La Sogin dovrebbe altresì non solo coadiuvare le pubbliche autorità nella gestione del piano, ma dovrebbe altresì dire la verità, come prescrive l’Euratom, sulle reali tipologie e quantità delle sorgenti radiogene custodite in Trisaia, biossido d’uranio incluso. Oltre l’Euratom, anche la Direttiva Seveso e le prescrizioni in materia di Protezione Civile impongono di “ informare tempestivamente la popolazione che rischia di essere coinvolta o è interessata da un evento radiologico o nucleare, già a partire dalla fase di preallarme, in modo tale da evitare o contenere al massimo le reazioni imprevedibili.” La Direttiva europea Seveso III riporta che: ” Per favorire l’accesso alle informazioni ambientali previste dalla convenzione della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, relativa all’accesso alle informazioni sull’ambiente, la partecipazione ai processi decisionali in materia di ambiente e l’accesso alla giustizia (la convenzione di Aarhus) approvata per conto dell’Unione con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale ( 2 ), è opportuno migliorare il livello e la qualità delle informazioni fornite al pubblico. In particolare, è opportuno fornire alle persone potenzialmente coinvolte in caso di incidente rilevante, informazioni adeguate sul comportamento corretto in tale eventualità. Gli Stati membri dovrebbero indicare dove si possono ottenere informazioni sui diritti delle persone coinvolte in un incidente rilevante. Le informazioni trasmesse al pubblico dovrebbero essere formulate in modo chiaro e comprensibile. Oltre a fornire informazioni in modo attivo, senza che il pubblico debba farne richiesta, e senza precludere altre forme di divulgazione, le informazioni dovrebbero essere messe a disposizione anche in modo permanente ed essere adeguatamente aggiornate per via elettronica “. Ed inoltre: “ il pubblico interessato dovrebbe avere l’opportunità di esprimere il proprio parere in merito al piano di emergenza esterno”. Quindi stando alla Direttiva Seveso III, che entrerà in vigore entro giugno 2015, non solo il nucleare ma buona parte delle attività minerarie ed industriali presenti sul suolo lucano potrebbero ricevere qualche bel grattacapo.

Nel 2011 c’è stato l’ennesimo incidente nucleare? Nel giugno 2011, lo sversamento in mare di 375 Bq/kg di Cesio 137 sarebbe in base al PEE, da considerarsi come incidente con conseguente diramazione dello stato di allarme, cosa che a noi risulta mai fatta, perché una quantità di centinaia di volte superiore alla soglia naturale è stata riversata in ambiente esterno, anzi demaniale, e ad oggi nessuna autorità si è posta il problema di stabilire nel tratto di mare in corrispondenza dello scarico Itrec, nemmeno un divieto di balneazione. Se la fall-out di Chernobyl portò a valori di 80 Bq, il picco del giugno 2011 come lo dovremmo chiamare: incidente o malfunzionamento? A Sogin la risposta.

Un vortice permanente nel mare antistante Rotondella. Una volta descritto, sempre sommariamente, il ciclo dei rifiuti liquidi radioattivi dell’impianto, si evidenzia che “prima di essere scaricati a mare, gli effluenti liquidi vengono analizzati per verificare il rispetto della formula di scarico autorizzato per l’impianto”. Bene, perché nel 2011 l’Ispra sospese gli scarichi a mare? Come mai nonostante le analisi pre-scarico è stato permesso ad acqua contaminata pesantemente da Cesio 137 di raggiungere il mare, facendo registrare nel giugno 2011, 375 Bq/kq? Queste incongruenze a chi sono addebitabili, a Sogin? Arpab? ISPRA? Ed in chiusura paragrafo il piano recita che:” studi oceanografici e radioecologici ( di cui non abbiamo trovato traccia ) hanno altresì mostrato l’esistenza di un vortice permanente in corrispondenza del tratto di mare prospiciente l’Itrec. Il volume del vortice, che costituisce il corpo diluente degli scarichi è di 1,5 miliardi di metri cubi; il tempo di ricambio delle acque è di 90 giorni.” Questo vortice permanente è naturale o indotto dalla pressione di scarico? Questo vortice diluisce gli scarichi favorendo la spandimento dei radionuclidi ? Qualcuno ha ipotizzato di utilizzare un meccanismo di correnti marine per riciclare meglio la radioattività? Quindi gli scarichi a mare, secondo il piano, vengono controllati periodicamente anche da Ispra: dove e quando? Noi di dati Ispra presi di prima mano dalla stessa in situ non ne abbiamo mai trovato traccia su alcun documento pubblico e ci pare che Ispra vigila solo sui dati trasmessi da Sogin ed Arpab. Qualcuno deve chiarire come funzionano i controlli e spiegare i motivi per cui già nel 1995, come ampliamento scritto da Andrea Spartaco, nel bacino del Golfo di Taranto la quantità di Plutonio presente fosse venti volte superiore rispetto al mare aperto algerino.

L’Ospedale di Policoro ed il Centro di Decontaminazione che non c’è. Le condizioni metereologiche, riporta il piano, “potrebbero mutare il quadro della contaminazione”: potrebbe essere rischioso pensare ad una giornata di moderato grecale o libeccio, con la nube radioattiva che in caso d’incidente si sposterebbe verso Nova Siri Scalo o Policoro. Nel piano sono previsti due stadi di allarme: il pre-allarme e l’allarme. Il primo dichiarato se un qualsivoglia evento comporti il rilascio potenziale, in ambiente esterno, di radioattività; il secondo se lo stato di preallarme si concretizza. Nel giugno 2011, con valori da fall-out di Chernobyl in mare all’altezza dello scarico Itrec, è stato dichiarato lo stato d’allarme? Parlare altresì della catena di comando e protezione che si attiverebbe in decine di passaggi in caso d’allarme risulta a chi scrive non solo noioso ma d’improbabile attuazione, e nervo scoperto della catena è l’ospedale di Policoro che dovrebbe accogliere i contaminati presso il Centro di Decontaminazione. Troppo semplice sparare sulla Croce Rossa e dirvi che nell’ospedale probabilmente questo centro di fatto non esiste, oppure non esiste l’attrezzatura prevista, oppure non esiste personale addestrato, non esistono concretamente i presupposti riportati nel piano d’emergenza e soprattutto, “non esiste” che in un piano d’emergenza d’allerta nucleare sia riportato come esistente una struttura sanitaria di prima accoglienza che con molta probabilità non esiste! Oppure il Centro di Decontaminazione è riconducibile a due stanze e qualche armadietto con pillole di iodio ed uno staff medico che solo su un pezzo di carta potrebbe dimostrare le richieste professionalità? Ma oltre all’ospedale di Policoro, la locale Protezione Civile è pronta in caso d’incidente nucleare? Questo pseudo piano d’emergenza risponde alle direttive europee in materia stabilite dall’Euratom?

I buchi nell’aria. Dal 2004 in poi, non è dato sapere alla cittadinanza le analisi atmosferiche di spettrometria gamma previste dalla rete di sorveglianza ambientale, peccato perché fino al 2003 i livelli di Plutonio239 nell’aria subiscono delle variazioni, con dei picchi oltre la media di riferimento ambientale della zona, infatti nel 1997 si toccano i 2,84 Bq/mc. Se in media un italiano inala 0,04 Bq/anno di Plutonio, la popolazione residente a ridosso del sito Itrec quanto ha inalato nei decenni e con quali effetti sanitari? Il Plutonio 239 ha un’emivita di 24mila anni, quindi si ammassa col tempo lasciandolo in eredità a generazioni che probabilmente neanche parleranno la nostra lingua.

Troppi misteri sul nucleare lucano. Come sarebbe avvisata la popolazione in caso d’incidente? Polverizzata com’è anche nelle aree rurali, con un’età media sempre più alta, come pensate di avvisare una popolazione completamente impreparata ad un’evenienza simile? Il Piano sembra un bugiardino farmaceutico, pieno di previsioni basato su ottimistiche attese, il punto è che qui non abbiamo parlato di aspirine ma di rifiuti nucleari: urge un tavolo della trasparenza serio e credibile, partecipato da esperti non di parte ed aperto ai dubbi ed alle domande dei cittadini, di cui molti di loro nati dinanzi al fatto compiuto. Il piano d’emergenza Itrec è pieno di falle organizzative, scientifiche e comunicative, e più che gestire un’emergenza sembra un contentino burocratico per prefetti distratti: allarma più che tranquillizzare, e getta ombra su procedure ed eventi che la gente percepisce improbabili. Con la bonifica imminente del sito le probabilità d’incidente aumentano, allora cosa aspettano le autorità preposte per redigere un vero piano d’emergenza e a dirci la verità sui tanti aspetti sconosciuti del sito Itrec?

L’inventario radio(il)logico è una farsa? A p.51 del piano d’emergenza è riportato un sintetico elenco del materiale nucleare custodito nell’Itrec, peccato che nell’elenco manchi l’oggetto del desiderio degli Stati Uniti, quel biossido di uranio trasportato con un operazione militare notturna nel luglio 2013 dalla Trisaia a Gioia del Colle, biossido venuto a galla solo nel tavolo della trasparenza dell’agosto 2013. Per quale motivo il biossido di uranio non compare nel piano d’emergenza? L’Itrec nasconde altro materiale nucleare ad alta attività? Quanti chili di biossido di uranio sono rimasti nel centro? È attendibile un piano d’emergenza che dimentica di censire tutte le sostanze presenti? Queste dimenticanze comunicative potrebbero essere una palese violazione delle direttive dell’Euratom ( 89/618 – 90/641 – 92/3 e 96/29 in materia di radiazioni ionizzanti ); che impongono tra le tante cose: alle autorità pubbliche la “comunicazione della detenzione del materiale, la registrazione delle sorgenti detenute, la disponibilità di piani d’intervento relativi alle installazioni radiogene, esecuzione di periodiche esercitazioni relativamente ai predetti piani, creazione squadre speciali d’intervento”. L’Euratom dice che un piano d’emergenza credibile deve: sia dire la verità sul materiale detenuto e sia essere testato sul campo con periodiche esercitazioni: in Basilicata i dirigenti Sogin/Enea lo sanno? Nonostante nel piano venga fatto un elenco dei materiali radioattivi presenti nella piscina, nei depositi materiali e rifiuti e nel parco serbatoi, per quale motivo non compare nulla sul materiale della fossa irreversibile 7.1? Come mai l’eventuale diffusione in aria di gas radioattivi in caso d’incidente, viene immaginata dall’autore del piano come una circonferenza di propagazione perfettamente circolare, del diametro di una decina di chilometri, e che ricalca in diversi punti sia le intersezioni stradali principali della zona, sia i confini di determinate aziende agricole? Secondo la Prefettura di Matera è possibile che la radioattività segua nella sua diffusione in atmosfera dinamiche geometriche come quelle disegnate nel piano d’emergenza e si blocchi dinanzi ad un incrocio stradale?

Con l’ultima parte dell’inchiesta sull’Itrec di Trisaia, terminiamo l’analisi della “Dichiarazione Ambientale 2010 dell’Enea”, un documento che come il piano d’emergenza esterna dà più interrogativi che risposte.

La radioattività nell’impianto di depurazione. Nel 2007, riporta l’Enea, è stato necessario caratterizzare e smaltire, in aggiunta a quelli prodotti dagli impianti e laboratori, alcuni rifiuti pericolosi presenti nel Magazzino di Centro e ciò ha portato ad un nuovo incremento dei costi di caratterizzazione oltre che della quantità annuale dei rifiuti pericolosi smaltiti. Stranamente proprio al 2007 risale il protocollo Sogin – Ispra sul monitoraggio ambientale, protocollo che come sempre ha portato blandi benefici in materia d’informazione ambientale ed i cui esiti non sono mai stati ordinatamente pubblicati su un bollettino. L’Enea afferma di attingere acqua da due fonti: i pozzi e l’acquedotto. L’acqua proveniente dal Sinni, tramite due pozzi, viene depositata in un serbatoio pensile (350 mc) e, attraverso una specifica rete, è utilizzata per l’impianto antincendio, per irrigare e come acqua di raffreddamento. Raffreddamento di cosa? Tra il 2004 ed il 2009, sono stati attinti complessivamente dai due pozzi, 366mila metri cubi d’acqua, conteggiati mediante contatori: curioso risulta il fatto che dei contatori siano presenti in entrata, mentre manchino in uscita per lo scarico a mare, quindi potremmo ipotizzare che una consistente quota di questa ingente massa d’acqua potrebbe essere quella scaricata in mare? Inoltre, l’Enea ha completato nel 2006 la realizzazione di un impianto di fitodepurazione che si trova a valle dell’impianto di depurazione “Oxygest” ( impianto trattamento biologico di ossidazione a fanghi attivi ) delle acque di scarico di tutti i servizi igienici e della mensa convogliate in fogna interna fino al depuratore stesso: proprio nel punto Oxygest tra il 2004 ed il 2009 vennero rilevate alte dosi di Cesio137. A tale depuratore confluiscono anche le acque meteoriche e reflue domestiche della Sogin S.p.A. che, invece, per quelle derivanti dalla propria zona attiva, ha uno scarico separato che va direttamente al mare. Quindi la presenza di Cesio137 è stata ritrovata in entrambi gli scarichi dell’Itrec – Enea: la Sogin non dovrebbe risponderne? E le acque depurate dal sistema Oxigest dopo la fitodepurazione dove confluiscono?

L’Enea e le sue emissioni importanti. Il centro ha emesso in aria, sempre dal 2004 al 2009: 5.834 tonnellate di CO2, 6 tonnellate di metano, 21 tonnellate di protossido di azoto, 35 kg di SO2, oltre 5 tonnellate di NOx ed oltre 90 kg di polveri sottili: non c’è che dire un centro di tutela ambientale ed energie alternative che ha il suo bell’impatto ambientale. Le emissioni in aria vengono monetizzate, da un registro europeo, l’E-PRTR, che stima un danno economico partendo da un tariffario e da rapporti matematici che ne calcolano le variabili dovute a caratteristiche locali. Il tutto tenuto debito conto che la velocità di propagazione e il relativo impatto sanitario, anche se certo, non è ancora assolutamente definibile secondo un sistema di calcolo omogeneo, ma necessita di ulteriori approfondimenti nei quali si innestano le previsioni di danno sanitario formulate dalla E.E.A.. Ad oggi solo di CO2 l’Enea ha causato un danno economico di oltre 280mila euro, senza quantificare il danno causato da sostanze nocive come il NOx e l’SO2. Non accennata l’esistenza o il rilevamento del particolato radioattivo che invece potrebbe uscire dal camino dell’Itrec.

Il segreto di Stato sull’Itrec deroga le norme ambientali. Anche sul nucleare lucano c’è una tela che parte da Roma e poggia sia sui silenzi dell’onorevole lucano del Pd, Roberto Speranza, membro del Copasir (il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, ossia il controllo dei Servizi Segreti ), che sul decreto del 30 luglio scorso, in cui Pittella firma l’istituzione del Comitato Paritetico Regione – Difesa, coordinamento per le servitù militari ricadenti in Basilicata e per le aree o i brevetti sottoposti a regime di segreto interessanti la difesa nazionale. La norma nazionale recepita è preoccupante in due articoli: il n.322 ed il n.358 del dlgs. 15 marzo 2010, n.66, recepito dalla Regione Basilicata, che recitano:”Se esigenze di segreto militare non consentono un approfondito esame, il presidente della giunta regionale può chiedere all’autorità competente di autorizzare la comunicazione delle notizie necessarie – e che in caso di – Valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell’ articolo 6, comma 4, lettera a), del dlgs n.152/2006, sono comunque esclusi dal campo di applicazione di detto decreto i piani e i programmi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale caratterizzati da somma urgenza o coperti dal segreto di Stato. Il Metapontino quindi è condannato per segreto di Stato, segreto pagato con i soldi della componente A3 della bolletta elettrica, pagata anche dai lucani.

Un pericoloso vuoto di potere nel nucleare italiano, a chi giova? La recente direttiva 2011/70 dell’Euratom, del 19 luglio 2011 prevede l’obbligo per ciascuno Stato membro di trasmettere alla Commissione Europea, entro l’agosto 2015, il programma nazionale per la politica di gestione di tutti i rifiuti radioattivi secondo il principio che i rifiuti radioattivi dovranno essere gestiti e smaltiti nel Paese che li ha generati: quindi l’Italia dovrebbe ricevere indietro la sua dote, ospitata presso Francia ed Inghilterra (la Francia ha recentemente respinto l’ultimo carico proveniente dall’Italia per paura dell’eventuale mancata osservanza della direttiva Euratom), ma i rifiuti americani ospitati presso l’Itrec – Trisaia che fine faranno? Il decommissioning una volta terminato, dovrebbe costare 6,7 miliardi di euro e la Sogin prospetta azioni di bonifica nucleare anche per materiale estero al fine di ammortizzare gli ingenti finanziamenti statali ricevuti. Il 26 marzo c.a. il Governo Letta ha recepito la direttiva Euratom suddetta, al fine di istituire l’Isin, ossia l’ente indipendente di gestione e monitoraggio del nucleare in Italia, che la UE vuole costituire in ogni paese membro, con operatività piena a partire dal 2015: ad oggi l’Isin è una scatola vuota priva di nomine, statuto e portafoglio. Questa la storia politico-amministrativa, ove la politica comunicativa della Sogin non ha certamente brillato, anzi, è non è stata all’altezza dei bilanci; intanto la Basilicata, tra le varie regioni ospitanti impianti nucleari, pare essere quella col minor tasso d’incontri pubblici sulla tematica, e non solo: sembra essere la regione degli eterni rimandi ambientali, infatti ad oggi, pubblicamente, non vi è traccia del Piano Straordinario di Monitoraggio approvato da Sogin – Ispra ed Arpab ed annunciato nel 2009 da Sogin medesima. Ma ormai è luogo comune che Sogin più che dare informazioni, dia dubbi, del resto in Italia dare trasparenza sul nucleare è più semplice che dividere l’atomo stesso. In tutto questo filone aziendalista, in Basilicata non sappiamo più il senso della parola bonifica, nata per esprimere redenzione e risanamento di luogo mortifero, oggi fa più paura dell’inquinamento stesso, perché la bonifica si sa, a volte remunera molto più della contaminazione ed inoltre cancella le prove senza risolvere il problema.

Oltre al Piano d’emergenza esterno dell’Itrec, esiste un altro piano, più dettagliato dal punto di vista del soccorso sanitario in caso d’incidente nucleare, è il Piano Provinciale d’emergenza di Matera. Esso riporta a p.423 che in caso di contaminazione:” “….Il Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria

Locale territorialmente competente, in collaborazione con la Croce Rossa Italiana, provvederà alla costituzione di posti di medicazione ed assistenza sanitaria ai margini della zona pericolosa, attraverso i quali devono transitare tutte le persone provenienti dalle zone contaminate. Provvederà, altresì, alla istituzione di docce campali e centri di decontaminazione esterna delle persone (cambi di indumenti, dosimetria, lavaggi ripetuti, tagli capelli, etc.). ” …Portata a compimento l’operazione relativa al primo soccorso, si procederà agli interventi di carattere assistenziale per tutto il personale evacuato, secondo le procedure operative contenute nel Piano di Emergenza esterno predisposto dal Gestore ed approvato dalle autorità competenti….”. Chiediamo al Prefetto di Matera: ma tutto questo esiste? Ed è in linea con quanto stabilito dalle direttive Euratom (89/618 – 90/641 – 92/3 e 96/29) in materia di gestione d’emergenza e trasparenza? Secondo noi, no, perché l’Euratom dice che le esercitazioni devono essere periodiche, estese e l’informazione sulle sorgenti radiogene, trasparente. Invece in Basilicata non sappiamo neanche se l’inventario sia aggiornato e veritiero.

La Sogin ha iniziato la bonifica dell’Itrec di nascosto? Poi arriva Sogin, che nonostante il faraonico bilancio di quasi 300 milioni di euro ed oltre 700 dipendenti, ancora non riesce a fare comunicazione. Infatti sul sito ufficiale viene scritto che: ” …Nel luglio 2012 è stata avviata la bonifica del deposito interrato di rifiuti radioattivi. Il deposito interrato, realizzato in cemento armato nei primi anni settanta durante l’esercizio dell’impianto, ha un volume di 54 metri cubi e si trova ad una profondità di 6 metri. Al suo interno i rifiuti radioattivi sono conservati in fusti di tipo petrolifero da 220 litri, inglobati in malta cementizia, disposti su 5 livelli all’interno di 20 celle. Il sito sarà portato a prato verde nel 2026…” se fosse vero sarebbe una mancanza di una gravità inaudita, contro ogni accordo di trasparenza e diritto d’informazione per la popolazione locale. Sogin ed Ispra rispondano immediatamente a questa incongruenza, l’ennesima. La bonifica è una fase delicatissima dei lavori, ove aumenta il rischio di incidenti, ai quali non potremmo far fronte perché privi di un piano d’emergenza esterno valido ed aggiornato alle direttive dell’Euratom. Sogin ci tiene a precisare che:” Ogni anno, Sogin effettua sistematicamente centinaia di misure sulle matrici alimentari e ambientali che compongono la rete in collaborazione con l’ Arpa Basilicata. Da sempre, i risultati delle analisi e i valori delle formule di scarico confermano impatti ambientali radiologicamente irrilevanti. I risultati dei monitoraggi sono inviati all’Ispra, l’Autorità di sicurezza nazionale sul nucleare, e resi pubblici, anche attraverso il nostro bilancio di sostenibilità”… purtroppo per chi si studia le carte queste parole sono vuote e fortemente contestabili, la storia dice altro, ed anche Arpab dice altro. Ispra, ha già comunicato a Sogin delle prescrizioni per la fase 1 della bonifica della fossa 7.1: se la bonifica o pre-bonifica fosse iniziata con i previsti lavori di sbancamento del terreno, Sogin dovrebbe comunicare gli esiti della caratterizzazione radiologica, ma da Ispra e Sogin nessun segnale mentre Arpab continua ad essere esclusa dalle zone calde dell’Itrec – gli ambienti interni.

Nell’Itrec la Sogin fa quello che vuole: si autodenuncia ed ignora Arpab. La questione è grave: pare che le aziende già operanti all’interno dell’Itrec stiano facendo lavori propedeutici alla bonifica, ma che sia solo Sogin e le aziende stesse ad auto – comunicare ad Arpab i loro lavori. Cosa ancor più grave è che Sogin l’autodenuncia la fa anche per gli scarichi in mare di acqua radioattiva, comunicandolo ad Arpab solo a fatto avvenuto, ma cosa ancora più grave è che del protocollo firmato nel 2013 tra Arpab ed Ispra non vi è effetto alcuno, e Sogin continua ad essere controllato e controllore, perché che sia Ispra od Arpab, nel perimetro Itrec non entra alcun organo terzo a monitorare, almeno ufficialmente, e l’acqua radioattiva continua ad uscire in mare senza previo controllo dell’Arpab. Cosa gravissima è che Sogin autodenuncia i suoi scarichi in mare da pochi anni, pare solo dal 2007, ossia dalla firma del protocollo con Ispra, e prima cosa è successo in mare visto che Sogin scaricava in indisturbata autonomia senza neanche auto-denunciarsi? Stando all’Arpab, nell’Itrec non è iniziata alcuna bonifica, stando al sito Sogin è iniziata la bonifica della fossa irreversibile 7.1, quella ad alta attività, fase delicatissima ed a rischio contaminazione. Cosa altrettanto grave è che prima del 2007 la maglia del monitoraggio ambientale era ancora più larga ed approssimativa dell’attuale, anche nei rilevamenti strumentali, e mai ufficialmente è stato analizzato un campione di pesce nella zona interessata dallo scarico a mare. Cosa ovviamente grave, è che gli studi sulle correnti marine e sul fondale sono fermi a 40 anni fa, e probabilmente andrebbero modificati punti e profondità dei campionamenti, perché il Cesio 137 ed altri isotopi, come già illustrato in una precedente inchiesta di Andrea Spartaco, potrebbero essersi sedimentati a diversi centimetri sotto l’attuale soglia di fondo marina.

L’acqua radioattiva dell’Itrec “decanta” all’aria aperta senza coperture? Cosa grave ed inconcepibile è che le vasche di raccolta dell’acqua di scarico, pare, siano a contatto diretto con l’atmosfera. Ma come acqua contaminata e possibile sorgente di onde alfa, lasciata scoperta? Può mai essere questo un sicuro sistema di stoccaggio? Come mai ad oggi mai nessun ente ha provveduto alla logica installazione di un “contatore” allo sbocco dello scarico marino, per conoscere la quantità di acqua radioattiva immessa dall’Itrec in mare?

La Sogin non è trasparente sui suoi appalti. Sul sito Sogin, nel portale appalti, compaiono i lavori di decommissioning per le centrali di Caorso e Latina, ma dell’Itrec di Trisaia non vi è traccia. Eppure alla sezione bandi, compare un bando sull’Itrec, ove la Sogin chiede la cementificazione del “prodotto finito”, liquido radioattivo, e relativa edificazione dell’impianto di cementazione. Parliamo di complessivi 20mila metri/cubi tra rifiuti ed impianto: importo complessivo 41 meuro – iva esclusa, scadenza 48 mesi dall’aggiudicazione dell’appalto, affidamento a procedura ristretta, in attesa delle autorizzazioni della autorità locali per il rilascio delle aree. Il 19 luglio 2012, 10 mesi dopo l’uscita del bando, Sogin scrive un comunicato ove riporta che: “ sono iniziati i lavori di pre-bonifica che in 18 mesi porteranno alla: la realizzazione di una struttura di contenimento attrezzata per lo scavo del terreno; alla progettazione degli interventi di bonifica; al taglio della struttura in quattro parti e alla loro rimozione dal terreno; alla bonifica e il rilascio finale dell’area per la realizzazione dell’impianto di solidificazione del “prodotto finito”. La Sogin ci sta prendendo in giro? Al Prefetto ed ai Sindaci dell’area l’ardua sentenza.

l termine incidente viene accuratamente sostituito dalla parola anomalia. Dalla relazione Arpab del 15 settembre scorso ricaviamo una ricostruzione preoccupante: l’incidente avvenuto il 21 agosto all’Itrec di Rotondella, autodenunciato da Sogin, ha portato alla luce dati ambientali paragonabili agli effetti di test nucleari.

Una macabra barzelletta. Innanzitutto ridicola e non attendibile la catena di controllo attivatisi un mese fa: incidente il 21 agosto, parola di Sogin, il 22 Ispra interpella anche Arpab e le analisi in contradditorio dell’Arpab sono state fatte il 27 agosto, 6 giorni dopo l’incidente, intanto la Sogin in quei sei giorni è stata come sempre padrona indiscussa del campo. Qual è l’ennesima beffa? Che l’Arpab per prelevare ha dovuto aspettare la venuta degli ispettori Ispra da Roma (quindi questo protocollo del 2013 tra Ispra ed Arpab sembra più l’ennesima laccio di imbrigliamento dell’Arpab che uno strumento di rinforzo) ed i prelievi sono stati fatti solo allora, 6 giorni dopo l’incidente quando il luogo dell’anomalia poteva aver ricevuto ampie e potenziali modifiche, ma il finale della barzelletta macabra dove sta?

Cesio: valori preoccupanti. I 6 campioni prelevati, suolo e falda, li ha prelevati il personale Sogin nonostante la presenza contemporanea di Ispra ed Arpab. Un fatto che getta ulteriore discredito sulle istituzioni coinvolte. Ad oggi i dati Arpab dicono che il terreno a ridosso del monolite ha una concentrazione di cesio 137 compresa tra i 4 ed i 250 Bq/kg, più bassa rispetto a quella registrata da Sogin che nel terreno interessato dalla fuoriuscita del 21 agosto ha registrato il valore di 7600 Bq/kg, vale a dire tre volte il valore medio registrato per la fall-out di Chernobyl durante il 1986 sulla vegetazione del nord-est dell’Italia. Un valore oltre ogni soglia di preoccupazione, che conferma la presenza all’interno del monolite di materiale altamente radioattivo, altro che “acqua” come ha riferito la Sogin inizialmente: cosa ha causato questi valori, il liquido fuoriuscito o erano preesistenti? Con questi valori il monolite si conferma una vera e propria pistola ancora fumante. Se fosse il liquido il responsabile della contaminazione dei suoli, e fosse stata la sua alta radioattività ad erodere il cemento dall’interno, sul fondo del monolite cosa è successo: sotto il sito vi è acqua in quantità “fluviale” e vi è parte della falda del fiume Sinni. Purtroppo anche i dati sulla falda relativa al piezometro della fossa irreversibile sono estremamente preoccupanti, infatti Arpab scrive di aver rilevato 0,5 bq/l, valore sensibilmente più alto dei valori del piezometro posto a monte della fossa, ove il Cesio137 è misurato in 4,4 x 10-3: nel primo piezometro il valore di cesio137 è 1130 volte il valore di Cesio137 del secondo ( da 0,00044 bq/l a 0,5). La contaminazione di falda è probabilmente già in atto ed in via di migrazione, ed il cesio137 è un isotopo radioattivo con un’emivita di trenta anni.

Dichiarazioni discordanti. Comparando altresì i carteggi di Ispra e Sogin sull’anomalia del 21 agosto scorso non combaciano le dichiarazioni sul punto della fuoriuscita del liquido, perché nel primo documento Sogin, si parla di -2m dalla sommità del monolite, lato sud, nel verbale Ispra a -4m. Stando alla Sogin i lavoratori hanno lavorato in sicurezza e la soluzione persa dal monolite era “presumibilmente acqua”, tuttavia i dati riportati da Sogin e svolti a ridosso del corpo esterno del monolite riportano emissioni comprese tra i 50 ed i 4 microsievert/ora quando la dose limite per legge è 10microsievert/anno: in alcuni punti l’asportazione di 2 cm d’intonaco, detta scarificazione, ha portato ad un sensibile ed istantaneo aumento delle radiazioni emesse. La Sogin chiude la relazione, non resa pubblica, raccontando la solita favola: che studierà la quantità di liquido presente nel monolite al fine di stabilire eventuali variazioni progettuali ai lavori di bonifica e che tutto va bene e che non c’è rischio né per i lavoratori, né per la popolazione, confermando che la bonifica è iniziata senza informare la popolazione e stando ai nostri dati, senza neanche un piano d’emergenza esterno realmente collaudato. Ma se la Sogin spa nel suo ultimo bilancio ha dichiarato utili per oltre 180 milioni di euro, la mancata informazione sui lavori nell’Itrec, pagati con soldi pubblici, è dovuta ad incuria, cosa deplorevole, o è voluta disinformazione? Una cosa è certa, gli alibi per la Sogin sono finiti.

Fonti: http://basilicata.basilicata24.it/cronaca/l%E2%80%99itrec-trisaia-caso-d%E2%80%99incidente-nucleare-14485.php

http://basilicata.basilicata24.it/inchieste/favola-centro-decontaminazione-policoro-14514.php

http://basilicata.basilicata24.it/cronaca/nell%E2%80%99itrec-trisaia-rilevati-valori-simili-fukushima-14772.php

http://basilicata.basilicata24.it/inchieste/segreto-stato-sull%E2%80%99itrec-trisaia-15101.php

http://matera.basilicata24.it/cronaca/nell%E2%80%99itrec-acqua-radioattiva-cielo-14728.php

http://basilicata.basilicata24.it/cronaca/nell%E2%80%99itrec-trisaia-rilevati-valori-volte-superiori-chernobyl-15121.php

 

Di Giorgio Santoriello

Laureato in Lettere, attivista amante della Basilicata ma poco dei lucani.