Negli anni passati, scrive Roberto Pennisi della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo nel capitolo della Relazione 2016 dedicato alla criminalità ambientale, le investigazioni hanno rivelato che il fenomeno criminale legato all’ambiente andava cercato “nelle deviazioni dal solco della legalità per puro e vile scopo utilitaristico”. In pratica tra imprese svolgenti attività generatrici di rilevanti quantitativi di rifiuti il cui corretto smaltimento avrebbe dovuto avere un posto di riguardo nella organizzazione aziendale, e imprese svolgenti attività nello specifico settore della gestione dei rifiuti. Come primo esempio della correttezza di una tale impostazione investigativa Pennisi riporta nella relazione proprio l’indagine della DDA di Potenza cui ha dato valido contributo la Direzione Nazionale “con la applicazione di una componente del suo Polo Criminalità Ambientale”. Indagine che, ricorda, “ha consentito di svelare le attività criminali nel settore dei rifiuti di una delle più importanti aziende di questo Paese, l’ENI, cui si è fondatamente addebitato”. Quell’ENI che ha smaltito in un solo anno tra Val D’Agri e Val Basento, e attraverso una rete di imprese, oltre un milione di tonnellate di rifiuti petroliferi come raccontato a maggio 2016 su Terre di Frontiera. “Fondatamente”, sottolinea Pennisi, in quanto l’ENI “dopo aver tentato di neutralizzare l’intervento repressivo con un tanto infondato quanto vano ricorso per riesame, ha alla fine manifestato la disponibilità a effettuare interventi di adeguamento degli impianti, in termini tali da far sì che lo svolgimento della attività produttiva non si sostanziasse nella violazione della normativa ambientale”.

Il trend della nuova mala, come in un altro caso riportato in relazione, cioé la violazione della normativa ambientale, è avvenuta da parte di veri e propri “giganti” nel settore delle fonti energetiche che, “a dispetto del prestigio connesso alla loro posizione – si scrive – , non hanno esitato a porre in essere quelle condotte al solo scopo utilitaristico, ovverosia di risparmiare sulle spese per il corretto smaltimento dei loro rifiuti. Per di più creandosi così una disponibilità finanziaria possibile fonte di utilizzazioni alternative. La predetta indagine ENI, scrive Pennisi, “ha svelato ulteriori condotte penalmente antigiuridiche (oltre ad anomale interferenze di importanti settori governativi sulle attività imprenditoriali, tali da determinare, dopo che erano state svelate, le dimissioni di un Ministro), separatamente trattate, previo stralcio dal procedimento principale, dalla medesima Procura della Repubblica di Potenza, per i delitti di truffa aggravata, peculato, concussione ed altro“. Su questa “realtà” criminale l’antimafia nazionale non ha dubbi perché conferma “l’abituale accompagnarsi col crimine ambientale di altre condotte in violazione di norme penali rientranti nella categoria di quelle dei colletti bianchi”. Una realtà, si scrive, in cui è diventato normale che il delitto ambientale rientri nell’orbita dei “delitti dell’impresa deviata, quindi dell’economia deviata, quindi della politica deviata“.

Il quadro. Da un lato è desolante, dall’altro stimola all’impegno chi ha il compito di perfezionare la strategia di contrasto a questa criminalità che risulta più pericolosa di altre, ivi compresa quella di “tipo mafioso dalla quale, dopo il noto periodo che va dalla fine degli anni ’80 a quella degli anni ’90, risulta essersi separata, avendo ben compreso il pericolo rappresentato dal fatto di essere quella criminalità potentemente e costantemente sotto il riflettore delle investigazioni. Con la potenziale conseguenza di queste ultime di coinvolgere tutti coloro che con il detto crimine si interfacciavano“. L’ambiente è un affare dove le mafie si sono legalizzate grazie a colletti bianchi e politici, a “rapporti con i pubblici poteri” attraverso la corruzione. Le imprese delinquono di più in materia ambientale per via della carente attività di prevenzione o delle “connivenze” con organi preposti alla vigilanza. La storia di ENI in Basilicata (ma pensiamo anche all’inchiesta Total non citata perché di anni prima, ndr), con un’enorme rete di imprese e connivenze (anche col dirigente dell’Ufficio Compatibilità Ambientale della Regione Basilicata, ndr), e la condanna di pochi giorni fa (dopo anni, ndr) a un ex dirigente ArpaB e vari funzionari per i fatti relativi all’inceneritore di Melfi prima in mano all’altro gigante energetico, la EDF francese, dove pure la Camorra scaricava tranquilla, fa ancora da esempio in Basilicata. Il sistema della gestione dei rifiuti in campo nazionale, dice Pennisi, s’è sempre basato e continua a basarsi sulla commistione di attività legali e illegali. Che si sono integrate a un punto tale da determinarsi una vera e propria crisi di funzionalità del sistema stesso ogni qualvolta un qualunque amministratore della cosa pubblica intende riportare l’intera gestione stessa sotto l’egida della legalità.