Importantissima la conferenza stampa tenutasi a Scanzano un paio di settimane fa
evento che in poche decine di minuti ha evidenziato quanto giornali, enti e politica non dicono da mesi: dall’Arpab che non conosce la reale estensione dell’inquinamento causato dal COVA, al riconoscimento del ministero che ha considerato rilevante l’incidente relativo alla fuoriuscita di petrolio, sino alle assurdità proferite dai burocrati regionali in sede di incontro sul progetto Syndial (a riguardo è basilare ascoltare i primi 40 minuti del registrato). Manca la pubblicazione dei dati e dei progetti di costruzione del COVA, sul monitoraggio dell’oleodotto e molto altro…mancanze di cui la politica, tutta, non fa cenno nei consigli regionali o nelle aule comunali e parlamentari. Gravi i fatti riferiti dai relatori sulle conferenze di servizi consumatesi sul progetto Syndial, ove i rappresentanti ENI avrebbero celato l’ovvio, ossia che le acque di scarico dell’impianto devono comunque finire nell’Agri e quindi nel Pertusillo.
Tuttavia non condividiamo come Cova Contro quanto proposto dall’Ing. Antonio Alberti (attivista di cui non conosciamo diversi aspetti, proposta la sua non condivisa preventivamente) circa la richiesta di 1 euro a barile per la bonifica, proposta in seguito riapparsa sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Pensavamo fosse finita la stagione di chiedere soldi ai petrolieri sull’estratto invece no. Chiedere 1 euro a barile, sul quantitativo di petrolio estratto in Basilicata sarebbe una buona idea per chi le estrazioni non vuole fermarle ma accetta di conviverci, proposta pericolosa non esente da debolezze. Le mancanze più evidenti secondo noi:
– nella proposta non sembra citato il gas ma i soli barili, eppure numerosi pozzi inquinano ed hanno inquinato anche se a prevalenza di gas più che di olii;
– la bonifica ignora gli impatti aeriformi che non rientrano in procedure di bonifica, idem il bioaccumulo degli inquinanti che pur non comportando bonifica entrano nella catena alimentare e quindi vi sono danni non bonificabili ma correlati al prosieguo delle attività, impatti che vanno comunque verso il danno ambientale ed il surriscaldamento globale;
– a cosa serve dare soldi alle bonifiche se non funziona il meccanismo stesso delle bonifiche; chi ne gioverebbe e come se a fare le bonifiche spesso sono proprio gli inquinatori o i loro soci come previsto per legge?;
– ambigua l’ultima parte dell’intervento relativa alla manodopera lucana da formare in ambito ambientale: dovremmo usare i soldi sporchi di chi usa pratiche industriali criminali per addestrare i lucani disoccupati a diventare i becchini del loro territorio?
Perchè non lavorare e combattere sulle modifiche da apportare al testo unico ambientale?Perchè tassare i barili se non abbiamo ancora sistemi terzi di conteggio sull’estratto? Le bonifiche deve farle lo Stato o chi altro e come? Se Eni giudicasse vantaggioso pagare le bonifiche con una sovrattassa e dopo le gare d’appalto le vincesse Eni stessa o le sue consociate quale legge potrebbe vietarne l’aggiudicazione? Così anche l’euro in più, come la card idrocarburi, finirebbe sempre nelle tasche del più forte! La sbilenca proposta di Antonio Alberti unita alle dichiarazioni della Prof.ssa Albina Colella dell’anno scorso gettano un ragionevole dubbio sul tavolo: ma tra tutti i no-triv e gli ambientalisti chi vuole davvero il blocco delle estrazioni e chi in realtà pensa di conviverci? Perchè chiedere altri fondi ad ENI se quelli già dati da decenni dalle compagnie sono stati spesi male? Perchè lo Stato non deve fare la sua parte nella vicenda e lasciare che Eni ci paghi presunte bonifiche extra, danni meteo e strade: così non si rischia di avvallare la privatizzazione delle funzioni statali a favore delle multinazionali e della loro logica di acquista del dissenso? Chiederemo ad Eni, Shell e Total anche i soldi per gli asili o le attrezzature ospedaliere, o per gli agricoltori dopo la grandine? Perchè non proporre invece una riforma delle leggi sulle bonifiche e sulle caratterizzazioni, o delle fidejussioni in ingresso o in sede di rinnovo autorizzativo, nelle quali versare in anticipo miliardi di euro vincolati a garanzia ambientale prima dell’avvio delle estrazioni o del rinnovo alle stesse, oppure sanzioni certe per le mancate pubbliche inchieste? Visto che il principio del “chi inquina paga” anche se non attuato pienamente ad oggi, sarebbe pericoloso anche in caso di piena attuazione perchè alcune multinazionali potrebbero monetizzare ogni tipo di danno inclusa la morte ed il cancro, non dovremmo invece protestare anche in piazza affinchè chi inquina, risarcisca, chiuda e vada via? Tutti i danni sono monetizzabili? Vogliamo anche monetizzare sui barili i morti decretati dalla VIS del Prof. Bianchi chiedendo da ora ad Eni una tassa sull’estratto? In una regione dove sindaci ed assessori regionali si scannano sulla stampa per l’iter di assegnazione del Capodanno Rai mentre Syndial in sordina andava avanti, proporre ulteriori soldi da chiedere alle compagnie quale deriva culturale potrebbe incentivare? E’ opportuno che l’Ing. Antonio Alberti (dopo il blitz di alcuni mesi fa che vedeva l’On. Saverio De Bonis far parte di un presunto tavolo ambientalista a Viggiano, riconfermare allora l’importanza delle estrazioni dopo aver detto l’anno precedente di essere favorevole ad una cartolarizzazione delle riserve petrolifere lucane) rettifichi le circostanze insite nella relazione al bilancio 2018 del liquidatore della sua azienda, e relative a:
- la natura dei suoi contenziosi legali in essere con ENI per presunti debiti con la stessa ammontanti a circa 700mila euro, contestati, e le cui origini non sono ben chiare e dettagliate nella relazione di bilancio 2018 del liquidatore della precedente azienda di Alberti, la Azimut;
- la natura del contenzioso in sede tributaria circa la contestazione di oltre 100mila euro per IRES, IRAP ed IVA non dichiarati nel 2010 sempre dall’azienda di Alberti e che avrebbe portato ad un’ipoteca di oltre 100mila euro gravante sulle apparecchiature di produzione elettrica di proprietà della sua società “Nuova Azimut”, erede della liquidata Azimut;
- il contenzioso in essere con la TESAL spa proprietaria del lotto ove sorge la centrale elettrica Azimut dell’Ing. Alberti, sito che parrebbe non essere stato reso alle condizioni contrattuali;
- un verbale di contestazione del NOE che intimava nel 2018 lo smaltimento dei rifiuti ferrosi di pertinenza della Azimut;
- la storia dei soci, funzioni e competenze in materia energetica/industriale;
- se le sue società abbiano mai preso fondi pubblici derivanti dalle royalties incamerate dal Comune di Viggiano.
Al netto di queste domande ci preme sapere quali rapporti ci sono stati in passato tra Eni ed Azimut-Nuova Azimut e se ovviamente tali trascorsi non minino la credibilità dei messaggi ambientalisti dell’Ing. Alberti che da subito doveva pubblicamente dichiarare i propri interessi, le proprie pendenze e le proprie finalità imprenditoriali visto che era/è titolare di azienda sita in agro di Viggiano e dedita alla creazione di energia elettrica anche da fonti fossili, quindi ambientalista sì, ma in che senso?