La fortuna del principiante questa volta è a metà. Per la prima volta nella storia italiana un gruppo di Regioni ha promosso un referendum, per la prima volta l’Italia si è interrogata in massa sul petrolio, per la prima volta in Italia milioni di persone hanno approfondito nel bene e nel male il tema del fossile, tra ricadute economiche (spese sanitarie incluse) e ricadute ambientali.
La Basilicata ha dimostrato di poter essere quando vuole, avanguardia, ma questo non è bastato perché in Italia oltre a demolire il patto generazionale, abbiamo demolito anche quello territoriale: merito delle multinazionali che in un mondo globalizzato sono riuscite a creare nuovi confini, come quello del ricatto occupazionale e degli indotti, nonchè delle royalties comunali che in Basilicata hanno creato una Regione nella Regione.
Nella repubblica della banane, ove un presidente del consiglio ed un ministro invitano all’astensione o al no, ove la tv preferisce invitare le soubrettes e le conduttrici ( dalla Casalegno alla Barra ) per parlare di petrolio piuttosto che invitare i pochi e liberi scienziati od attivisti di punta: siamo stati tutto sommato chiamati a votare per l’ovvio, ossia la tutela di ambiente e salute come previsto dalla Costituzione.
Votare per la conferma delle proprie prerogative costituzionale è già una sconfitta di per sé: le piattaforme marine da decenni scaricano rifiuti pericolosi e non in mare, eppure per avere qualche dato abbiamo dovuto aspettare un’inchiesta giornalistica, così come in Basilicata, ove per avere luce sull’affaire petrolio abbiamo dovuto aspettare la magistratura che di fatto si è sostituita ad Arpab e Regione, confermando le vecchie denunce degli attivisti locali.
La politica invece è occupata a cercare voti e soldi anche a costo della salute dei suoi elettori, che in molti casi cedono al gioco perverso del lavoro sicuro in cambio del tumore di turno fornito dalla grande azienda. Sempre più silente è invece la classe degli accademici, che ad eccezione di pochi casi trascinati in seguito in tribunale per ritorsione politica, aspettano la consulenza di turno oppure accettano il silenzio come garanzia di una tranquilla carriera.
Ci siamo polarizzati: magistratura ed associazioni da un lato, politica e scienza dall’altro e mentre noi pensavamo al referendum no-triv, in Italia aspettano la bonifica per contaminazione da idrocarburi migliaia di siti sparsi sulla terraferma per non contare quelli in mare senza ancora che il Ministero della Salute abbia capito come questi inquinanti si siano spostati nella catena alimentare. Mentre in Italia troviamo idrocarburi, metalli pesanti ed altro in svariati alimenti o nelle persone, le aziende sanitarie continuano a cercare solo virus, tossine e batteri negli alimenti. Speriamo in futuro di fare nuovi referendum per prevenire piuttosto che essere chiamati a pronunciarci a danno già fatto.
E la UE cosa ha da dire? E la Corte dei Conti? A cosa serve avere un ministero dell’ambiente che non pubblica neanche i dati sulle contaminazioni off-shore? A cosa serve avere l’Ispra se anch’essa non pubblica niente? Ed anche se avessero dati sull’inquinamento marino da pubblicare siamo certi della loro attendibilità visto quello che è successo in Basilicata? E la UE che ci impone linee e guide per tutelare i mari, la pesca e la natura cosa ha da dire su tutte le italiche mancanze? Il prossimo sarà un referendum sulla trasparenza ambientale già recepita nel 2001 con legge di ratifica della Convenzione di Aarhus, oppure tra qualche anno saremo chiamati ad un referendum sulla liceità del buonsenso? Anche allora le lobby saranno pronte a darci la loro versione del buonsenso e noi comuni cittadini chiamati nuovamente a dimostrare la sostenibilità dell’etica ammesso che allora non avremo figli da sistemare nell’indotto energetico lucano.
Una domanda mi assilla anche dopo il referendum: come mai ai colonnelli del PD lucano che si sono ritrovati No-Triv negli ultimi mesi non è stato chiesto loro di dimettersi prima di sposare la battaglia che loro stessi hanno causato?