Se spulciate la relazione del II semestre 2015 della Direzione Investigativa Antimafia noterete che nei capitoli/paragrafi riguardanti la Basilicata, tra tutti i fenomeni criminali annoverati mancano i reati ambientali e le eco-mafie. Nella relazione invece recentemente pubblicata sul primo semestre 2016, come al solito la Basilicata viene accorpata alla Puglia, mentre Campania e Calabria hanno i rispettivi “capitoli” e la Basilicata nonostante venga etichettata come un potenziale ambito d’influenza di tutte le criminalità limitrofe, non viene definita nè crocevia, nè punto d’appoggio, nè zona franca, insomma c’è ma è come se non ci fosse neanche per le mafie, insomma centinaia di chilometri quadrati che non servono nè allo spaccio, nè al traffico d’armi, nè al riciclaggio di denaro o ai sequestri ma potrebbero servire per altri generi di traffici, bene questi traffici neanche sono ipotizzati. Nel 2016 si parla “solo” di un pluripregiudicato del clan campano “Amato-Pagano” che aveva preso casa a Vietri di Potenza, ed ivi arrestato, oltre al fenomeno del “pendolarismo criminale” così definito dalla DIA, di diversi rapinatori pugliesi che svernano nel Materano in attesa di calmare le acque. Due righe su Tempa Rossa compaiono a pag.174, nelle note, in piccolo, senza citare le parole “Total o petrolio” dopo che finalmente viene riportato sul finire di un elenco di reati, anche quelli ambientali. Nessun accenno al traffico sui rifiuti ENI o allo smaltimento illecito a Tecnoparco.

Queste sopra citate non sono chiacchiere da bar, ma le relazioni che il Ministero dell’Interno manda al Parlamento per illustrare le attività svolte nel contrasto alle mafie, attività ove relativamente ai reati ambientali lucani, ai nomi che li commettono, ed alle modalità di compimento, praticamente non c’è nulla, visto che parliamo di diverse centinaia di pagine redatte ogni sei mesi, nelle quali la Basilicata appare ferma ad una fotografia in bianco e nero di De Martino, ferma di decenni all’età pre-Colombiana, ove paragonando a queste relazioni i dati raccolti da: ex-procuratori, intercettazioni, pentiti e testimonianze locali ed extra-regionali le relazioni della DIA allietano alla stregua di un Topolino.

Anche andando a ritroso nelle annualità lo scenario che se ne ricava è che i reati ambientali non vengono inclusi nelle macro-categorie di reato, nè hanno lo spazio che meritano, nè sembra esserci la consapevolezza della loro sofisticazione e della loro valenza/incidenza sociale ed economica oltre che politica, trattati come reati di serie B, come se le rapine a mano armata o il racket facessero più morti e più danni dell’inquinamento in Italia, infatti anche dando una sguardo alle altre regioni i binari della DIA sono sempre quelli: droga ed annessi, racket ed affini, armi e traffici in ogni settore, ma non in quello dei rifiuti, tant’è vero che maggior spazio hanno le truffe agro-alimentari ma non la contaminazione degli alimenti o delle persone per reati ambientali, o i mancati controlli sugli stessi ( aspettiamo sempre di sapere quanti camion vengono fermati e controllati su strada per verificare il contenuto dei loro MUD con i rifiuti effettivamente trasportati, perchè qui sembra che ci siano più controlli sulle associazioni ambientaliste che sui trafficanti di monnezza ?! ). La politica invece appare inesistente nei suoi intrecci e responsabilità oggettive nei reati ambientali, oltre che a questo punto, sembra anche essere mal informata dalla DIA stessa, vista la qualità delle relazioni sulla Basilicata per esempio. Forse sono volutamente sommarie come relazioni, e noi pignoli ed irrispettosi, ma tant’è che COVA CONTRO alla DIA chiederà i motivi di tanta sintesi e discrezionalità argomentativa nonchè maggior dignità per i reati ambientali, soprattutto quelli a sfondo associativo-criminale.