Ma in Italia abbiamo emergenze ambientali? La prevenzione e previsioni, sono ancora termini che possiamo utilizzare nei nostri studi?
Da Ilsole24ore del 15 gennaio leggiamo che: l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha chiesto per il 2022, aiuti record per 41 miliardi di dollari. Il 17% in più rispetto al record di 35 miliardi chiesti per quest’anno. Secondo l’agenzia ONU per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) 274 milioni di persone nel mondo avranno bisogno di una qualche forma di assistenza di emergenza l’anno prossimo. La pandemia non è ancora finita, i Paesi poveri hanno ricevuto solo lusinghe per i vaccini e gli innumerevoli conflitti perdurano nel tempo e nello spazio. L’instabilità è peggiorata in diverse parti del mondo, in particolare in Etiopia, Birmania e Afghanistan. Secondo i dati delle Nazioni Unite analizzati da Statista, la crisi in Yemen ha colpito oltre 24 milioni di persone. L’Etiopia ha registrato l’aumento maggiore rispetto al 2020: una variazione del 166% che equivale a oltre 21 milioni di persone che richiedono assistenza e aiuto, in gran parte a causa dei combattimenti tra le forze governative e i ribelli della regione del Tigray. Qualche giorno dopo , esattamente il 29 gennaio dal sito di Facebook del Dipartimento della Protezione Civile leggiamo: “Nelle emergenze il Sistema di Protezione Civile italiano può mettere in campo sia operatività sia esperti e tecnici di alto livello. Ecco perché il Dipartimento ha messo a disposizione un esperto ISPRA –Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale per il team, coordinato da UNEP/OCHA Joint Environment Unit (JEU), a supporto del Perù per gestire l’emergenza dopo la grande fuoriuscita di petrolio sulle coste a nord di Lima. Lo sversamento è stato provocato dalle onde di maremoto formatesi dopo l’eruzione catastrofica del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai.”
Il 2 febbraio assistiamo ad un raid di Extinction Rebellion contro la sede del Ministero della Transizione Ecologica (MiTe), a Roma – fatto per manifestare contro una pressante e disattesa emergenza a scala mondiale.
Perché ci domandiamo di questo assalto? Perché? – così rispondono su twitter i manifestanti di Ultima Generazione: “Siamo stanchi delle false promesse e delle parole vuote del Governo, non sta facendo nulla per contrastare il collasso ecoclimatico.“
L’emergenza in Perù, come si percepisce dall’immagine satellitare che segue, è complessa.

Leggendo di seguito si comprende il motivo del nostro pronto intervento in Perù e, probabilmente, anche del perché delle proteste che ci sono state anche a Sanremo durante il Festival contro ENI che, per Greenpeace: si tratta di una campagna che è stata presentata come la dimostrazione della svolta green dell’azienda sebbene in realtà ENI continuerà a puntare su fonti di energia fossili come gas e petrolio.
I fatti. Il 15 gennaio la petroliera italiana Mare Doricum, della flotta Fratelli d’Amico Armatori, stava scaricando petrolio greggio presso la raffineria di La Pampilla, a nord di Lima, in Perù, quando è stata investita da violente onde provocando una fuoriuscita di petrolio in mare di circa 6.000 barili. La nave cisterna battente bandiera italiana stava trasportando 965.000 barili di greggio, quando è avvenuto l’incidente. Secondo le prime informazioni, le fuoriuscite di petrolio sarebbero avvenute a causa di “onde anomale” causate dall’eruzione vulcanica a Tonga, e si ipotizza anche seguito della rottura improvvisa dell’oleodotto sottomarino del terminal ma sono in corso indagini per scoprire il vero motivo che ha causato l’incidente.
Il governo peruviano ha dichiarato un’emergenza ambientale e ha definito la fuoriuscita il peggior disastro ecologico nella storia di Lima. Le squadre di pulizia e i volontari stanno lavorando incessantemente per rimuovere la sabbia oleosa, che è stata poi trasportata in discariche di rifiuti tossici. Secondo i canali di notizie locali, foche morte, pesci e uccelli ricoperti di olio sono stati trovati sulle coste del Perù. La fuoriuscita di petrolio ha provocato la morte della fauna marina e ha sollevato gravi preoccupazioni per il sostentamento dei pescatori locali e le conseguenze economiche della perdita del turismo.

Nel frattempo che le nostre “eccellenze” sono impegnate all’estero, cosa accade nel nostro Paese in questo periodo a proposito di oil spill? Abbiamo elencato in più occasioni nei nostri articoli gli innumerevoli Enti Europei che, a vario titolo, hanno competenze sul monitoraggio dei nostri mari.
Mentre a livello Nazionale siamo da tempo stati addomesticati a dover digerire queste nostre “eccellenze” sia Istituzionali che Universitarie (Centri di Eccellenza), ossia quelle elette/nominate per Decreto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile Nazionale.
Nell’immagine che segue sono indicati i luoghi analizzati in cui son state individuate sostanze superficiali riconducibili a presenza di probabile oil spills – nel solo mese di gennaio us.

Per semplicità di trattazione verranno presentati solo alcuni casi:
Genova Sud

Ancona Est

Rada di Augusta

Considerazioni
Riteniamo le immagini e i relativi Profile Plot significativi della gravità dei fatti rappresentati. In particolare, le gioiose due gemelle probabili scie di oil spill, identificate a Sud di Genova, manifestano la volontà e le netta coordinazione dei due Comandanti delle presunte petroliere, di far disperdere con più facilità i loro veleni in mare.
Trovare chi siano gli autori di questi scempi è molto semplice. Ma non vogliamo togliere il divertimento alle Autorità preposte a questo tipo di controllo e a quelle che “dovrebbero monitorare tali eventi”, considerando le numerose e copiose Sale Operative preposte ed i vari Dirigenti e Capi Settore inseriti in esse – ivi compresi i premi di produzione che percepiscono.
Per ciò che afferisce alla Rada di Augusta, chi ci segue conosce il nostro impegno e i numerosi articoli divulgati. Purtroppo le Autorità, a cui sono state segnalate in varie occasione questi disastri, continuano a non fornire risposte.
Conclusioni. Per chi, come me, che ha prestato per 48 anni servizio allo Stato, prima indossando una divisa e poi i panni di funzionario del Dipartimento della Protezione Civile (DPC) e dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), sinceramente, è un pò una “non vittoria” ma finito il servizio resta la libertà di poter andare liberamente a testa alta e a caccia degli inquinatori.