Nel 1991 venne ucciso nella sua azienda di coltivazione del bergamotto in agro di Caraffa del Bianco, il padre di Bruno Bonfà, Stefano. Nel 2005 fu ucciso anche un pensionato, Fortunato La Rosa, a Canolo ma quale nesso c’è tra i due? L’essere stati testimoni di passaggi inconfessabili vale a dire che secondo i loro parenti ed amici, le due vittime sarebbero state testimoni dello spostamento occulto, avvenuto mediante mezzi dello Stato, dei sequestrati. Pezzi dello Stato che spostavano le vittime per evitarne il ritrovamento. Questa sarebbe stata la causa probabile di alcune morti bianche, inconfessabili, di persone completamente estranee ai fatti ma uccise non accidentalmente ma con dinamiche mirate. Consiglio di ascoltare le due interviste allegate all’articolo, colpiscono più di mille articoli.

C’era un giro di tangenti anche sui sequestri tra ndrangheta e pezzi deviati dello Stato? Tempo fa Bruno Bonfà, imprenditore agricolo calabrese, mi ha telefonato dopo aver letto un nostro articolo su Michele Busciolano ed il suo incontro con uno dei boss Femia, dinamiche riportate all’epoca che hanno fatto scattare in lui la scintilla.

Negli anni le denunce instancabili di Bruno Bonfà hanno avuto esiti alterni, lui ha denunciato più volte l’invasione delle vacche sacre nei suoi terreni ma lo Stato nè ha risolto il problema alla radice nè ha tutelato Bruno come doveva.

Nei terreni della famiglia Bonfà da anni avvengono incursioni documentate delle cosìddette vacche sacre della ndrangheta, atto di prevaricazione che hanno causato alle colture di Bruno diversi danni. Bruno per alcuni anni ha goduto della scorta, poi revocata insieme al porto d’armi per difesa personale: come spesso accade in Italia la storia dei testimoni scomodi è costellata di paradossi e delatori. Nonostante la solidarietà ricevuta, Bruno da vittima ha ricevuto anche attacchi agghiaccianti da parte dei politici locali, come il Sindaco di Samo che negò l’esistenza delle vacche sacre, ma anche parte della stampa locale lo ha ignorato o sminuito e paradossalmente Bruno si trova a lottare senza neanche l’apporto dello Stato. Come si può vivere in libertà se denunci la ndrangheta e lo Stato nè ti scorta, nè ti concede il porto d’armi? Bruno merita voce ed ascolto e soprattutto uno Stato che lo difenda davvero.

Di Giorgio Santoriello

Laureato in Lettere, attivista amante della Basilicata ma poco dei lucani.