Una regione “rifiutocentrica” che si spopola di persone ma si popola di monnezza.

La Dott.sa Giusy Puppo tempo fa aveva trovato sul web un interessante progetto UNIBAS, finanziato dalla UE, chiamato “SWIM”, che mira ad utilizzare a scopo irriguo le acque di scarico dei depuratori civili, un progetto realizzato con un impianto pilota presso il depuratore di Ferrandina.

fonte Fao.org

Nel 2010 di questo progetto se ne parlò in un convegno FAO tenutosi ad Hammamet (Tunisia), e ad illustrarlo fu il solito Salvatore Masi, docente Unibas, ex ed attuale consulente della Regione Basilicata / ARPAB, il cui cognome è ormai “apposizione” del sostantivo rifiuto, e quando si parla di ambiente o monnezza in Basilicata, di mezzo c’è sempre lui. Masi nelle slides che vi alleghiamo sotto dice che relativamente al progetto denominato SWIM i rischi sanitari legati al mix di sostanze eventualmente presenti in queste acque sono bassi per l’agricoltura, ma nella valutazione del rischio dimentica alcune variabili, tipiche della Basilicata, come il non funzionamento dei depuratori.

l’impianto pilota del progetto SWIM – slide fonte Unibas

Masi parla della resa e della convenienza di questa metodica di riuso delle acque in uscita dal depuratore, perchè collaudata su un terreno coltivato a Maiatica, la preziosa oliva locale, nei pressi del depuratore di Ferrandina. Un terreno che fino alla documentazione datata 2013, non è localizzato dettagliatamente nello studio. Sia il terreno che il resto dell’ambiente, stando allo studio, ne hanno giovato in termini di diminuzione delle emissioni di CO2 per le pratiche agricole, di minimo spreco idrico e di fertilizzazione del terreno, nonchè l’oliva stessa, cresciuta in dimensioni, unitamente al risparmio sui concimi: infatti secondo il progetto è documentata anche la crescita di vegetazione spontanea, naturale fertilizzante per il terreno.

campo di Maiatica – fonte Unibas

Nel 2010 in Tunisia questo progetto era discusso in vista delle esigenze di: Algeria, Marocco, Tunisia ed Egitto volte a rinverdire le aree a ridosso delle locali aziende agricole. Già nel 2010 la FAO riporta nel suo sito che l’UNIBAS aveva già da 10 anni avviato l’irrigazione con acque reflue, quindi teoricamente dal 2000 ( ma anche questo dettaglio nelle slides del Prof. Masi non c’è ) questa metodica non avrebbe trasmesso alle piante alcun inquinante, tenendo conto che le slides del Prof. Masi illustrano l’andamento solo di un ristrettissimo gruppo di metalli pesanti e di idrocarburi, ignorando tutti gli altri inquinanti organici ed inorganici o di sintesi rinvenibili oggi. Nelle slides non compaiono analisi ( certificati o rapporti di prova ) che attestino l’avvenuta ricerca di inquinanti nelle olive, ma solo superficialmente per la matrice suoli.

Nel 2012 a dare una rinfrescata al progetto ci pensa Gianni Pittella, che l’11 ottobre 2012 dà la sua benedizione personale al progetto che nel frattempo aveva avviato un’altra sperimentazione analoga in Egitto. Il progetto di uso agricolo delle acque depurate torna in auge anche nel 2014 a Tunisi, dove sempre l’Unibas rappresentata dalla Prof.ssa Donatella Caniani, rimaneggia le slides di 4 anni prima presentate da Masi, e fa capire questa volta l’estensione e la collocazione della campo di sperimentazione a Ferrandina: un terreno esteso 0,66 ettari alle porte di Ferrandina, non lontano dal locale cimitero e dal depuratore cittadino.

l’area coinvolta nel progetto – fonte Unibas

Ma dopo 4 anni a qualcuno nell’UNIBAS, per fortuna, viene in mente di cercare anche altri contaminanti nelle acque destinate all’uso irriguo sperimentale, e vengono ricercati i principi attivi di alcuni farmaci che difatti vengono rilevati tra il 2013 ed il 2014 ( intanto il campo sperimentale prosegue all’epoca da 14 anni ) nelle acque reflue ferrandinesi: la metformina ( anti-diabetico), la caffeina, la claritromicina ( antibatterico-antibiotico ), la carbamazepina ( molecola contro le convulsioni ), il diclofenac ( antinfiammatorio ), e l’aspirina. Non è chiaro dalle slides se abbiano ricercato solo questi principi attivi, ma tanto basta per capire cosa finisca nell’ambiente esterno senza controllo alcuno di ecotossicità.

Fatto che sta che dopo 14 anni di sperimentazione la Prof.sa Caniani afferma a Tunisi che nei suoli trattati con queste acque c’è un aumento di metalli pesanti nei suoli irrigati ma sempre sotto la soglia di legge italiana: peccato che gli studiosi Unibas dimentichino gli effetti di: bioaccumulo, biomagnificazione e sinergie tra diversi contaminanti anche sotto soglia ma contemporaneamente presenti, dimenticando altresì di dire che hanno ricercato venti contaminanti in un ventaglio potenziale di centinaia, dimenticando altresì di dire che le soglie di contaminazione dei suoli in Italia sono molto più alte rispetto ad altre nazioni, etc… . Immaginiamo quanto Iodio 131 avrebbero trovato in un depuratore che serve una popolazione oncologica di centinaia di persone sottoposte a diverse cure oncologiche, come verosimilmente a Ferrandina, premesso sempre che parliamo di un depuratore che oltre ad un regime di funzionamento incerto, serve una piccola popolazione di poco più di 10mila residenti.

Ed i nomi iniziano ad essere sempre quelli, a prescindere dal contesto, ed infatti la Caniani con il resto del gotha intellettuale lucano, da Lucia Serino alla rettrice Sole, dove li ritroviamo? Ma nelle terzomondiste giornate materane della “Comunicazione Ambientale” ove: ENI, Unibas, Regione, Rai e Confindustria dicevano alla Nigeria italiana, la Basilicata, e ai suoi giornalisti, come “parlare degli impatti ambientali”: Direbbe Crozza:”…come chiedere a Provenzano consigli sulla gestione dell’Anac”! Come mai Eni, con la fondazione Mattei, compare sempre in questo progetto di riutilizzo delle acque reflue a scopi irrigui? Vogliono convincerci un domani che sarà possibile coltivare con le acque di strato petrolifere? Tecnoparco diventerà un consorzio irriguo? Quando proporranno di usare i reflui petroliferi per usi irrigui come in California ha fatto Chevron? Perchè la Basilicata, ricca d’acqua di qualità, viene testata come un deserto? Chi controlla il rilascio nell’ambiente dei principi attivi dei farmaci ad uso umano ed animale?

Di Giorgio Santoriello

Laureato in Lettere, attivista amante della Basilicata ma poco dei lucani.