Dopo il clamore delle indagini sul traffico di rifiuti di ENI, pensavo che qualche parlamentare ( euro e non ) o consigliere regionale si muovesse per proporre per le acque di strato/di processo/di formazione petrolifere, un codice identificativo nuovo e specifico.

Le acque di strato petrolifero possono avere una composizione chimica ed una radioattività NORM , ossia naturale, o TENORM ( anche artificiale ), variabili nel tempo, e per la propria variabilità può essere tossica certamente o molto tossica. Il problema è che la radioattività di queste acque all’estero, come in: UK, Australia ed USA, è normata, monitorata e disciplinata ad hoc da anni, e da decenni è motivo di dibattiti pubblici e tecnici. In Italia invece questi rifiuti vengono classificati, se nessuno manipola il codice, ben che vada, nella tipologia CER ( catalogo europeo dei rifiuti ) 16 10 01 o 16 10 02 vale a dire in una “mega famiglia” che annovera le soluzioni acquose di scarto contenenti sostanze pericolose ma senza una specifica od obblligatoria comunicazione di presenza di sostanze radioattive.
Infatti la normativa europea e nazionale divide i rifiuti radioattivi tra quelli derivanti da tubi catodici, commutatori a mercurio e vetri radioattivi ( cer – 16 06 ) e tutti gli altri rifiuti radioattivi, per esempio quelli sanitari o di impianti nucleari, sotto invece sottoposti ad un apposito decreto legislativo, il dlgs 230/95; e le acque di scarto petrolifero? Rimangono nel mezzo, in un limbo probabilmente voluto perchè dare un codice nuovo a questo rifiuto avrebbe da sempre voluto dire riscrivere le autorizzazioni dei centri reflui che trattano questi rifiuti da decenni, come Tecnoparco per esempio, e vorrebbe dire far fare investimenti ed adeguamenti strutturali ad i privati, vorrebbe dire fare le cose per bene ma sulle acque di scarto il business è enorme, parliamo di decine di milioni di euro annui solo per quelle della Val d’Agri. Invece oggi con l’attuale legislazione, chi tratta il normale percolato di discarica o i liquami delle fosse biologiche può ricevere nel medesimo impianto anche fluidi radioattivi, con le logiche conseguenze ambientali e sanitarie.
Abbiamo chiesto a rappresentanti politici ed istituzioni di raccogliere la nostra proposta e di vagliarla perchè all’estero le acque di scarto petrolifero sono trattate non solo tenendo conto della loro pericolosità chimica ma anche di quella radioattiva.
Noterete nelle analisi allegate, commissionate da Eni l’anno scorso per studiare le proprie acque di scarto, che in maniera ad oggi per noi ancora oscura, il laboratorio abruzzese in questione, in chiusura referto, nonostante la presenza nel campione di idrocarburi, fosfati, boro, bromuri, etc…conferisce al campione la classificazione di speciale e non pericoloso ( 16 10 02 ): come è stato possibile?