Dopo aver offerto un ragionamento analogo col comunicato congiunto precedente, serve soffermarsi su un ambito preciso di questa storia.
Sogin dal 2017 per conto della Commissione UE e di Rosatom avrebbe avviato uno “STUDIO DI FATTIBILITÀ SU OGGETTI NUCLEARI AFFONDATI NEL MAR ARTICO, e sul sito di Sogin il progetto viene definito in corso. “Su incarico del General Directorate for Development and Cooperation Stability, Security, Development and Nuclear Safety della Commissione Europea, Sogin ha guidato un consorzio di società (tedesche, inglesi, norvegesi) per effettuare uno studio che, sulla base dei dati forniti da Rosatom, identifichi gli oggetti nucleari di origine russa più pericolosi affondati nel mar Artico (sommergibili nucleari, reattori nucleari, etc.) e, sulla base di uno studio di fattibilità, elabori e proponga un piano per il loro recupero. Il piano esamina gli aspetti tecnici, di sicurezza e regolatori, fornendo infine un programma temporale e una stima budgettaria dei costi. Le principali attività del progetto hanno riguardato la composizione dell’inventario di tutti i tipi di oggetti affondati nei mari di Barents e di Kara, la classificazione degli oggetti affondati e lo studio di fattibilità sul recupero, gestione e messa in sicurezza degli oggetti.”
Andrea Spartaco aveva già offerto una sintesi delle mappe di affondamento governative, la FAO non ha mai risposto alle nostre domande circa i mancati divieti di pesca nelle aree oggetto di rilascio di rifiuti nucleari ma oltre a ciò, da italiano, devo chiedermi: come mai Sogin, UE e Russia debbano ricercare i rifiuti nucleari nel Mar Artico e non riprendere le indagini di De Grazia sui fondali italiani o mediterranei? L’Europa quando smetterà di usare le risorse degli altri, o meglio dei suoi componenti, per interessi esteri? De Grazia non ha bisogno dell’intitolazione di scuole e laboratori, l’unico modo per onorarlo è completare le sue indagini, mentre da 40 anni aspettiamo di trovare queste pistole fumanti sui fondali mediterranei, con soldi europei dobbiamo studiare i mari artici russi usando un’azienda pubblica italiana…ma l’interesse di Stato in tutto ciò dove sta?
I rapporti tra Rosatom e Sogin vengono da lontano, almeno dal 2013, con lo smantellamento di diversi sottomarini nucleari russi.

Solo nel 2020 però la notizia della rinnovata volontà di ripulire il fondale dai rifiuti radioattivi, da parte di Rosatom, viene ripresa esplicitamente su una rivista del settore. Nell’articolo viene riportato che:”… uno degli importanti problemi ambientali dell’Artico è l’inquinamento da radiazioni … associato all’affondamento di strutture nucleari pericolose … tra il 1959 e il 1992, nell’Artico ci sono state 80 campagne di affondamento di oggetti radioattivi, tra cui compartimenti di reattori, sottomarini nucleari, navi speciali e contenitori di rifiuti radioattivi solidi, strutture e attrezzature metalliche. Anche il sottomarino nucleare K-27 è stato affondato nella regione. L’affondamento è stato effettuato nel Mar di Kara a profondità comprese tra 20 e 300 metri. Il numero totale di oggetti affondati supera le 17.000 unità con una radioattività totale al momento dell’inondazione di circa 1000 curie … ci sono sette impianti di combustibile nucleare pericolosi: per cinque l’inondazione è stata pianificata e due sono affondati accidentalmente. Oggi la società statale Rosatom dispone di tutte le infrastrutture esistenti per il loro smaltimento e isolamento a terra, mentre il sollevamento e il trasporto delle strutture nucleari pericolose sarà effettuato da una compagnia di navigazione russa. In un’intervista rilasciata ad Arctic.ru a febbraio, Anatoly Grigoriev, responsabile dei progetti di assistenza tecnica internazionale di Rosatom, ha parlato di come trattare le scorie nucleari stoccate nell’Artico e nell’Estremo Oriente. Grigoriev ha individuato quattro strutture principali che necessitano di interventi: 1 – Baia di Andreeva, dove è stato depositato il combustibile proveniente dai nuclei di almeno 100 reattori nucleari sottomarini. Dopo un incidente radioattivo avvenuto nel 1989 in questo impianto di stoccaggio, il combustibile è stato trasferito in depositi temporanei in serbatoi utilizzati per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi liquidi. 2 – Gremikha (regione di Murmansk), l’unico deposito russo per i nuclei dei sottomarini di classe Alpha con refrigerante metallico liquido e combustibile all’uranio-berillio.
3 – Atomflot (città di Murmansk), dove un deposito ospita 50 container di combustibile all’uranio-zirconio proveniente da rompighiaccio atomici scaricati dalla base tecnica galleggiante Lotta. 4 – Base tecnica galleggiante Lepse, ora situata presso il cantiere navale Nerpa di Snezhnogorsk (regione di Murmansk), una filiale del centro di riparazione navale Zvezdochka. I lavori sono già in corso nella baia di Andeeva, dove la rimozione del carburante è iniziata nel 2017. A metà del 2019, il 29% era stato rimosso – 1 milione di curie su un totale di 3,5 milioni di curie.
Simon Evans, direttore associato della BERS (Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo) per la sicurezza nucleare, ha dichiarato: “Il processo di rimozione del combustibile è un’operazione immensamente impegnativa e rappresenta il culmine di molti anni di collaborazione internazionale per affrontare l’eredità della Lepse. La BERS ha gestito i fondi di sostegno internazionali per oltre 10 anni per sostenere la mitigazione di questo rischio. La giornata di oggi rappresenta un’importante pietra miliare per eliminare un grave pericolo per la popolazione e l’ambiente della regione del Mare di Barents.
Sul tema dei rifiuti affondati Grigoriev ha osservato che nel 2014 la Commissione europea ha ordinato alle organizzazioni internazionali di effettuare studi di fattibilità e sviluppare un piano d’azione per la gestione sicura e affidabile degli oggetti pericolosi per le radiazioni nei mari artici. Del totale, 17.000 avevano subito un decadimento radioattivo naturale e avevano raggiunto uno stato sicuro. “Dei restanti 1.000 oggetti, sei sono stati identificati come i più pericolosi… sottomarini nucleari, compartimenti di reattori e oggetti in cui si trovano reattori con combustibile nucleare”. Ha aggiunto che i Paesi europei (Italia, Germania, Inghilterra e Norvegia) insieme all’Istituto per la sicurezza nucleare dell’Accademia delle Scienze russa hanno valutato se sollevare gli oggetti o continuare a monitorarli. Gli specialisti russi, a seguito di approfondite ricerche e modellizzazioni, hanno concluso che gli oggetti non rappresentano una minaccia reale e non lo saranno per decenni. “Allo stesso tempo, non si può ignorare la possibilità di un impatto negativo intenzionale da parte di questi oggetti, così come la questione etica – l’obbligo di non scaricare il peso della responsabilità sulle spalle delle generazioni future”. Il rapporto afferma che affrontare le strutture più pericolose costerebbe 256 milioni di euro (277 milioni di dollari) e richiederebbe otto anni dall’inizio dei lavori.“
Nello stesso anno, il 2020, venne pubblicato dal medesimo magazine un secondo report, che entrava nel dettaglio dello smantellamento di rifiuti nucleari relativi sia ai sottomarini che alle navi rompighiaccio. Fatto sta che in pochi anni gran parte delle radiazioni sembrano sparire, naturalmente decadute secondo Rosatom, ovviamente non esiste traccia di controlli terzi rispetto alle dichiarazioni russe su come siano state fatte le indagini, le bonifiche e gli smaltimenti delle stesse. Secondo Rosatom solo sei oggetti causerebbero il 90% delle radiazioni di fondo che contaminano l’Artico. Un pò bislacchi ed incongruenti i dati e le interpretazioni riportate dai russi, secondo i quali “…il 95% dei 18.000 oggetti sommersi sono ora in uno stato di sicurezza naturale, sono insabbiati e i livelli di radiazioni gamma intorno ad essi corrispondono agli indicatori di fondo naturali“. Praticamente discariche nucleari che madre natura già in pochi decenni avrebbe messo in sicurezza, un invito ad usare il mare come una pattumiera atomica.

Interessante anche l’articolo ben documentato, con ottime fotografie, a firma di Heiner Kubny


Una costante di tutti questi articoli verte sui costi di recupero e bonifica…nessuno studio radiotossicologico sulla fauna/flora marina, sull’esposizione dei pescatori e delle comunità prossime. Nel complesso viene da pensare che per lo stesso motivo, esclusivamente economico, forse sia meglio non ricercare la Rigel e le altre navi a perdere nel Mediterraneo: dove smantellare migliaia di tonnellate di scafi e rifiuti? Allo stesso tempo tutto ciò risulta moralmente accettabile? Perchè la UE e Sogin ricercano i rifiuti sui fondali a migliaia di chilometri di distanza dai rispettivi mari, e nulla viene fatto per le indagini di De Grazia? Ah sì, resta un milioncino di euro recuperato dalla propaganda dell’ ex – ministro Costa, del cui impiego non si sa nulla, invece per i rifiuti russi vengono stanziati centinaia di milioni di euro.