Nonostante tutto in Basilicata manca una sanità pubblica per le emergenze ambientali.
Un documento intitolato “sorveglianza sanitaria delle popolazioni residenti nelle aree regionali di estrazione petrolifera” redatto dalla dottoressa Gabriella Cauzillo ( Regione Basilicata – Dipartimento Salute – Ufficio Politiche della Prevenzione – Osservatorio Epidemiologico
Regionale) e dalle dottoresse Laura Gori e Maria Vincenza Liguori (Arpab – Settore Epidemiologia Ambientale)- apre nuovi spunti di analisi sulla questione petrolifera e politica lucana.
Il documento, disponibile sul sito Arpab, risalirebbe al 2009 e sembra sia stato dimenticato dalla politica. Lo studio è prettamente bibliografico, spia dell’impreparazione strutturale della Regione Basilicata alla sfida petrolifera. Come dimenticare le dichiarazioni dell’ex direttore dell’Arpab Vita al Corriere.it: ”siamo passati dal pecorino al petrolio”. Purtroppo gli uffici regionali sembrano non conoscere lo studio forse più recente ed esaustivo in materia, ossia quello della dottoressa Lana Skrtic (2006). Analizzeremo nella prima parte lo studio Arpab – Dipartimento Salute e nella prossima l’analogo della Skrtic.
L’idrogeno solforato (h2s) sta già minando la salute della Val d’Agri. L’H2S è tra gli inquinanti peggiori della filiera petrolifera perché entra facilmente negli organismi viventi per contatto, ingestione, inalazione ed inibisce le capacità auto-purificanti degli organismi e potrebbe essere abbattuto, con notevoli investimenti, infatti il documento Arpab dice: “Il gran numero di brevetti rilasciati di recente riguardo a nuove tecniche che cercano di innalzare la soglia di recupero dell’H2S è una prova del fatto che il problema di un totale e corretto smaltimento dell’H2S è ancora irrisolto”. L’idrogeno solforato è una sostanza fortemente velenosa la cui tossicità è paragonabile a quella del cianuro ed i suoi valori tipici sono inferiori a 1 ppb. Metà della popolazione è capace di riconoscere l’odore acre dell’H2S già a concentrazioni di 8 ppb ed il 90% riconosce il suo tipico odore a 50 ppb. L’H2S diventa però inodore a concentrazioni superiori a 100 ppm perché paralizza il senso dell’olfatto. Ovvio che la possibilità di venire in contatto con l’H2S aumenta notevolmente per le popolazioni in vicinanza dei centri di lavorazione del petrolio. Nelle vicinanze di centri di lavorazione del petrolio, ed in particolare presso gli impianti di desulfurizzazione, i livelli di H2S possono dunque essere 300 volte maggiori che in una normale città del mondo occidentale”. In Basilicata non abbiamo neanche quest’ultime, tuttavia alcuni valori dell’aria della Val d’Agri sono paragonabili a quelli di Milano.
I danni sanitari dell’H2S. Si passa dall’esposizione ai 100 ppm con tosse e congiuntiviti, fino a dermatiti e problemi di cicatrizzazione. Altri problemi di salute da H2S possono essere la perdita di coscienza, vertigini, svenimenti, confusione, mal di testa, sonnolenza, tremori, nausea, vomito, convulsioni, midriasi, problemi di apprendimento e concentrazione, edema polmonare, emoftoe, difficoltà di respirazione. “Clinicamente accertati i danni al sistema nervoso a fronte di basse concentrazioni: danni nei tempi di reazione, all’equilibrio, al riconoscimento cromatico, alla velocità e al coordinamento motorio, elevati livelli di irritabilità, stati di depressione, confusione, perdita di appetito, mal di testa, scarsa memoria, svenimento, tensione, ansia ed affaticamento. Anche nelle vicinanze del Centro Oli di Viggiano (C.O.V.A.) la popolazione avverte una forte puzza di uova marce: sarebbe scientificamente rilevante indagare e monitorare nel corso degli anni gli stati di salute mentale, neurologico, psicologico e cardiaco dei suoi abitanti, visto che l’H2S è ancora sospetto di cancerogenità al colon e potrebbe avere caratteristiche mutagene”.
All’estero il petrolio ha comportato una sanità pubblica d’emergenza. Una pubblicazione della rivista Jama (Maggio 19, 2004 – Vol. 291, n. 9 “Oil and Health”) riferisce che le attività di esplorazione ed estrazione di petrolio in Ecuador – Amazzonia, iniziate nel 1970 hanno portato ad “una sanità pubblica di emergenza” per gli abitanti delle aree interessate. La relazione di cui alla rivista Panam Salud Publica 2004, denuncia che nel Nord–Est dell’Ecuador, le compagnie petrolifere hanno scaricato notevoli quantità di greggio e di rifiuti tossici in terreni e corsi d’acqua che secondo i ricercatori hanno causato elevate frequenze di cancro ed aborto spontaneo tra i residenti. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) classifica il benzene, ed altri derivati della filiera petrolifera, come sostanza cancerogena di classe I, in grado di produrre varie forme di leucemia e nel 2011 l’Arpab lo rinviene delle falde sottostanti il C.O.V.A. oltre il limite di legge.
Una parte di Arpab sottolineò le carenze del C.O.V.A. Per il C.O.V.A “disattese parzialmente e/o in toto le prescrizioni ambientali incluse nel Decreto VIA rilasciato dal Ministero dell’Ambiente il 5-2- 1999; in particolare le prescrizioni indicate nei punti da 2 a 9 del decreto e in particolare il monitoraggio di tutti i parametri degli inquinanti come l’H2S, il Benzene, gli Ipa, Icov. Idem per Tempa Rossa: gravi ritardi e carenze per l’attuazione delle prescrizioni indicati nella Delibera Cipe del 21-12-2007, tanto per quanto riguarda le attività di monitoraggio ambientale del centro olio di Corleto Perticara che le attività petrolifere della Total.” Arpab e Dipartimento Salute scrissero che: “Quella petrolifera è sicuramente una attività ad alto rischio e ad alto impatto su tutte le matrici ambientali (suolo, acque, aria) oltre che su flora e fauna, in tutte le fasi del processo: dalla perforazione sino al trasporto e perciò sulla salute umana; anche i fanghi di perforazione, se immessi nel suolo potrebbero entrare nella catena alimentare. Nel documento si elencano 12 siti contaminati riconosciuti ai sensi dell’ex Decreto Ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471.
Una parte di Arpab sottolineò anche il rischio sismico ed idrico. Gli autori dello studio temevano “un evento sismico di notevole intensità, stimandone i tempi di ritorno all’incirca in 500 anni, quindi a distanza di 143 anni le prospettive per i comuni dell’area non lasciano assolutamente tranquilli. Sorgenti pregiate come quelle presenti nell’area del monte Vulturino–Calvelluzzo e le sorgenti di Viggiano sono caratterizzate da un delicato equilibrio dal punto di vista della qualità delle acque. Le sollecitazioni sismiche possono portare al rilascio di particelle nelle acque, le quali potrebbero emergere con una maggiore torbidità, con rischi di incompatibilità, anche solo temporanea, con l’uso potabile. Dal punto di vista della quantità, specie per le sorgenti minori, esiste un concreto rischio di perdita per deviazione del flusso della scaturigine naturale. Si potrebbe così condizionare e/o modificare permanentemente i circuiti di flusso delle acque sotterranee determinando l’impoverimento o il cambiamento delle caratteristiche dei punti di emergenza delle acque di falda. Gran parte delle sorgenti dell’Alta Val d’Agri, inoltre, non è utilizzata direttamente con singole captazioni, ma concorre alla formazione del fiume Agri, le cui acque confluiscono nel Lago del Pertusillo; di qui consegue la vulnerabilità delle acque superficiali a possibili inquinamenti.” L’Arpab non escluse la possibilità di: “una lenta risalita di acque o di fluidi con caratteri chimico-fisici non compatibili con l’uso potabile”. Difficile la bonifica perché “elevata persistenza, bassa volatilità, elevata viscosità, rendono difficili le operazioni di bonifica, soprattutto in caso di rilascio in falda. In sintesi il territorio della Val d’Agri rappresenta un importante serbatoio di risorse idriche ma, negli ultimi decenni, ha risentito delle modificazioni meteo-climatiche che hanno comportato l’intensificarsi di periodi siccitosi. Le acque disponibili per soddisfare i fabbisogni locali sono diventate carenti a causa di scarse precipitazioni e, fenomeni di inquinamento sopradescritti potrebbero compromettere seriamente la situazione.” “I processi legati all’estrazione, comportano, è noto, anche l’immissione in atmosfera di una serie di sostanze inquinanti: biossido di zolfo (SO2), acido solfidrico (H2S), ossidi di azoto (NOx), idrocarburi, materiale particolato (PM), monossido di carbonio (CO), ozono (O3), inoltre attraverso la deposizione secca ed umida (per esempio sotto forma di piogge acide) alcune di queste sostanze rappresentano un’importante fonte di contaminazione anche per il suolo, le acque e la vegetazione”. Il tutto l’Arpab lo scrive dopo aver riportato che: ”dal 2005 è ufficiale l’aumento di mortalità per tumori maligni tra gli uomini in Basilicata”. “Recentemente, a causa della progressiva presa di coscienza dei problemi ambientali e di salute connessi all’H2S, alcuni stati americani hanno abbassato la soglia massima di presenza di H2S nell’atmosfera. In California il limite legale è di 30 ppb (0-03 ppm); nello Stato di Alberta in Canada il limite legale è di 20 ppb (0,02 ppm)”. Ed in Basilicata quali limiti bisognerebbe applicare?