
Le Commissioni sul traffico illecito di rifiuti sulla Basilicata chiudono sempre allo stesso modo. Siamo in mezzo alla mafia ma non ci sono mafie che usano illecitamente il territorio. I recenti fatti di Genzano di Lucania, riletti con quelli meno attuali impongono qualche domanda, soprattutto se nelle notizie di reato si legge d’un territorio consegnato “chiavi in mano a personaggi vicini a organizzazioni criminali”.
All’inizio furono discariche cave e mattoni. Nel ’97 una Commissione parlamentare riportò che a Genzano di Lucania c’era “una situazione alquanto strana” per disfarsi di fanghi industriali. Si parlava già di fanghi, petroliferi compresi. “Un modo nuovo – si disse – di introdurre rifiuti tossici e nocivi e con metalli pesanti che venivano impastati in argilla per produrre mattoni”. Con la scusa dell’inertizzazione non si capiva quanti rifiuti impropri erano utilizzati in questo modo. Erano buoni? Chissà. E non si sa nemmeno la fine che hanno fatto. E se allora sul territorio preoccupavano smaltimenti illegali di rifiuti provenienti da concerie toscane in cave e discariche, oggi, dopo vent’anni, si riparla di fanghi tossici illecitamente smaltiti tra cave, produzione di laterizi e campi, e d’una rete tra Toscana, Veneto, Campania e Basilicata. E in Basilicata il legame con la Toscana e altre regioni del nord Italia è roba vecchia. Oltre che nel potentino, nel materano, dove nei primi anni Novanta si seguì un traffico illecito di rifiuti tossici e radioattivi e arrivarono condanne per qualche imprenditore che attualmente è più che attivo nel settore. Così è. Per capire meglio quanto accade a Genzano e dintorni bisogna fare un altro passetto avanti nel tempo. A un decennio dopo quella Commissione del ’97. Bisogna raccontare la storia di un imprenditore che gestiva la raccolta dei rifiuti urbani a cui all’indomani delle elezioni il neo sindaco eletto Rocco Cancellara avrebbe detto stando a quanto dallo stesso denunciato “dobbiamo parlare perché le cose non vanno come devono andare”. L’imprenditore aveva subito dalla Genzano Costruzioni srl (GC, ndr) e dal Comune, riferì alla Polizia Giudiziaria (PG, ndr) di Potenza nella denuncia, la sottrazione di circa novanta contenitori per la raccolta differenziata con lo scassinamento dei lucchetti.
Ambigue parentele. “Mi possono anche ammazzare – disse agli ufficiali di PG tra cui il tenente della Polizia Provinciale Giuseppe Di Bello prima che venisse isolato in Basilicata per l’attività nel campo dei reati ambientali – ma questi li voglio vedere in galera”. La minaccia arrivava da Antonio Sciarra denunciò, soggetto a condanne penali dal ’91 e al sequestro di beni immobili frutto di traffico di stupefacenti, associazione mafiosa, tentato omicidio, usura, e nel ’99 riciclaggio di titoli rubati e “negoziati presso vari istituti di credito lucani e di altre regioni”. E sarebbe molto interessante capire quali. L’imprenditore teso e preoccupato riferì che non avrebbe mai potuto sporgere denuncia ai Carabinieri di Genzano perché “in questo momento – affermò – vi è un clima che favorisce questa società. Dico ciò in quanto il comandante di stazione dei Carabinieri è cugino dello Sciarra”. Disse che a Genzano tanti conoscevano Sciarra perché pur essendo di Palazzo San Gervasio possedeva lì case e terreni frutto d’usura, in quanto chi non poteva far fronte agli interessi del prestito s’era trovato costretto a corrispondergli beni. Pure un’assessore alla viabilità rurale lo conosceva. L’imprenditore informò la PG anche di un assessore che gli avrebbe confidato che “se vi era stato un qualsivoglia affidamento alla GC ne doveva rispondere chi firmava gli affidamenti”, alludendo all’allora dirigente del Comune e al neo sindaco. Stando alla denuncia il dirigente temeva che le sue proprietà potessero essere oggetto di incendio nel caso si fosse messo contro quella gente, e autorizzò e affidò alla GC lavori pur sapendo che non possedeva requisiti per operare in certi settori e senza procedere a formale gara di appalto.
Quel clima favorevole. Per l’imprenditore Sciarra, uomo nemmeno voluto a Roccanova per un soggiorno obbligato stando a una interrogazione al Senato del ’93, sarebbe stato l’effettivo titolare della GC. Lo deduceva perché nonostante sulla visura camerale emergevano i nomi di Pietro e Giuseppe Festa disse, tutte le mattine Sciarra andava da Palazzo San Gervasio a Genzano con la propria macchina o viaggiando assieme ai titolari della GC. “Un giorno – continuò – a Palazzo San Gervasio a uno stop ho incrociato Sciarra che era in auto con Festa Pietro e altri due uomini a me sconosciuti che potrebbero essere quelli che si vedono di recente girare per Genzano con Sciarra. A questo punto ho chiaramente visto Festa indicarmi con il dito alle altre persone presenti nell’auto, e dopo alcuni istanti ho avuto una chiamata strana nella quale cercavano un certo Pasquale e poi hanno chiuso la linea”. Tutti sapevano che dietro la GC c’era Sciarra disse alla PG, e un ex sindaco aveva riferito che “se entrava la GC che è di Sciarra erano tutti fregati”. Parlando del clima favorevole a Sciarra oltre al comandante della caserma dei carabinieri raccontò lo strano comportamento del comandante dei Vigili Urbani il quale nonostante non c’era stata nessuna comunicazione da parte del Comune ai Vigili per l’affidamento alla GC della raccolta differenziata lo fermò su ordine del dirigente del Comune dicendogli testualmente “siccome non hai titolo alla raccolta perché è scaduto l’affidamento, ti devi fermare”.

Affidamenti. Disse pure che qualsiasi affidamento era fatto per la fornitura di materiali inerti e calcestruzzi o per i servizi con macchine operatrici complesse oltre alla GC il Comune si rivolgeva anche a un’altra impresa dei Festa che forniva calcestruzzo e inerti. Forniture, specificò, che avvenivano con la semplice chiamata telefonica e nessuna autorizzazione scritta. Nel giugno 2007, continuò davanti la PG, un gruppo di imprenditori si sarebbe lamentato perché qualsiasi lavoro si dovesse fare venivano chiamati sempre i Festa. “Ricordo – dichiarò – che a una mia richiesta all’amministrazione comunale del perché lavorassero solo loro l’assessore Canio Malatesta mi mandò a eseguire il lavoro di pulizia dell’area mercato ma giunto sul posto c’era già Festa Pietro con i suoi automezzi e l’assessore a questo punto mi disse che dovevamo fare a metà”. E precisò altro. “I rifiuti verdi provenienti dallo sfalcio di potature – proseguì – li ho sempre raccolti senza oneri aggiuntivi per l’amministrazione comunale. Il 2007 è stata affidata alla Sosev Ambiente srl di Banzi (Sosev, ndr), il cui titolare è tale De Bonis Francesco, la raccolta di questi rifiuti con una spesa di 18.800 euro. Di questa spesa richiesi un fermo di pagamento al Comune di Genzano di Lucania perché la Sosev si faceva pagare viaggi per metri cubi 30 per volta mentre raccoglieva questi rifiuti con un camion di portata molto inferiore a quella dichiarata sui formulari pari a circa 10 metri cubi. Era quindi evidente la truffa perpetrata in danno del Comune. Ho saputo che l’ufficio di ragioneria ha pagato l’intera cifra tra luglio e agosto 2008 nonostante l’acclarata truffa sui quantitativi”.

Discariche e bare. Quando l’imprenditore denunciò tali fatti la Sosev aveva già preso in mano da anni a Genzano la discarica della Comunità Montana Alto Bradano. La gara d’appalto per la gestione disse, avrebbe dovuto vincerla lui ma De Bonis chiese l’annullamento e da secondo s’aggiudicò la gestione dal 2002 al 2004, quando Sosev era ancora una società in nome collettivo e oltre a De Bonis vedeva socio anche Antonio Garramone che a maggio 2004 firmò l’atto di compravendita. Si tratta dello stesso Antonio finito in quegli anni con un’altra società che ha gestito anche i rifiuti sanitari radioattivi del Crob in un’inchiesta dell’antimafia per le relazioni con il boss della ‘ndrangheta Renato Martorano? Certo la GC a Genzano aveva relazioni economiche con un altro imprenditore a cui aveva subappaltato lavori di bonifica, guarda caso un altro imprenditore a cui Don Renato diceva al telefono di volergli aprire sedi. L’antimafia documentò come Don Renato aveva costruito una vera lobby affaristico-mafiosa su cui s’appoggiavano molti imprenditori e vedeva coinvolti politici di centro destra e sinistra e loro segretari in Basilicata. A uno degli imprenditori, una fornace, aveva proposto di garantirgli commesse per la fornitura di prodotti a imprese compiacenti entrando in un cartello del ciclo del cemento. Bastava smaltire rifiuti industriali. La Sosev intanto aveva continuato a gestire la discarica, che prese fuoco due volte nel 2007. “Probabilmente – disse l’imprenditore – l’incendio è stato appiccato per ridurre la consistenza dei rifiuti al suo interno. A questo proposito, a maggio o giugno 2008, ho visto il transito verso la discarica di due autocarri in orari notturni, precisamente all’una meno un quarto di notte e alle tre di mattina. I camion da me visti di notte non sono del posto sia per tipo e marca di autocarri sia per attrezzatura. Preciso che sono di sicuro provenienti da aziende esterne in quanto le marche dei compattatori non sono presenti sul territorio di Genzano e dei comuni limitrofi”. Sosev aveva ritirato anche rifiuti cimiteriali di cui, affermò, “non si conosce quale fine abbiano fatto”. Un responsabile gli averebbe confidato che era avvenuto dietro ordine del dirigente del Comune, dirigente che tra luglio e agosto 2008 nonostante non c’era mai stato un registro di carico e scarico gli aveva chiesto una mano per l’estumulazione di 50 bare e se si poteva far posto nell’ossario tirando fuori ossa, e quando l’imprenditore spiegò che non era possibile per legge e l’alternativa era la cremazione con un costo difficile da stabilirsi rispose “non ti preoccupare vedo io come fare per risolvere la situazione”.
“L’uso fuori da qualsiasi regola”. L’imprenditore rompe insomma, vede, s’informa, racconta. E ad agosto 2008 subisce un incendio al deposito della raccolta differenziata. Un caso. Ma una cosa è certa. A seguito della denuncia per trovare riscontri la PG effettuò l’ispezione alla discarica constatando gravi irregolarità. Dai canali di scolo delle acque meteoriche completamente inefficienti perché pieni di rifiuti alcuni dei quali inceneriti si scrisse, a un’immensa quantità di rifiuti non compattati e una notevole quantità di insetti tra cui zanzare pulci e pidocchi anche fuori dal perimetro della discarica, e ratti di notevoli dimensioni. “Costeggiando dall’esterno la recinzione sulla strada carrabile in terra battuta – riportò nella notizia di reato – notavamo numerose tracce di pneumatici di camion e macchine per il movimento terra. Tale strada sterrata, in corrispondenza della parte più a valle della discarica, si allargava in un ampio piazzale esterno alla discarica stessa, ricavato con lo scavo di diverse migliaia di metri cubi di terra”. Per la PG era stato effettuato con la finalità di ampliare l’area destinata a discarica già esistente senza autorizzazioni e consentire la manovra di più camion insieme. La discarica, si scrive nella notizia di reato, denota “un uso fuori da qualsiasi regola”. L’impressione che scaturì dall’ispezione specificarono, fu che la Sosev a cui era stata affidata la gestione affidasse a sua volta lo scarico dei rifiuti “chiavi in mano” a una serie di personaggi vicini a organizzazioni criminali lasciandogli addirittura la discarica completamente aperta. “Grandi responsabilità – verbalizzò – vi sono anche da parte degli amministratori locali Comunità Montana e Comune di Genzano i quali, pur di liberarsi dei quintali quotidiani di rifiuti non eseguono, né fanno eseguire, alcun genere di controllo sulle modalità di gestione della discarica da parte della Sosev Ambiente e sui mezzi che vi conferiscono i rifiuti”.
A che servono i riscontri? Nel 2009 la discarica gestita dalla Sosev andò ancora a fuoco. La PG accertò che sprigionava fumi che rendevano irrespirabile l’aria e il percolato era disperso nel terreno finendo in campi coltivati. I rifiuti non erano compattati ma oggetto di incendio e conseguentemente fonte di dispersione di diossina in atmosfera, e si chiedeva al sostituto procuratore Henry John Woodcock di valutare l’opportunità del sequestro per evitare il prosieguo dell’attività illecita e ulteriori danni ambientali. Passarono mesi e il tenente Di Bello in altro sopralluogo metteva l’area sotto sequestro. Partì l’ennesima notizia di reato. All’esterno della discarica si scrisse, numerose buste svolazzavano e avevano ricoperto i canali di scolo delle acque meteoriche, e vi era un notevole accumulo di rifiuti da demolizione edile e stradale fra cui amianto e pneumatici esausti. Gli autori del reato, si precisava, sono verosimilmente da ricercarsi nelle categorie delle imprese di costruzione o demolizione edile e stradale, degli autotrasportatori, e dei gestori di rifiuti. Insomma era diventata una zona franca per l’illecito. In una relazione inviata a Woodcock, Di Bello raccontò di essere stato testimone di camion a fari spenti lungo un tratturo regio proveniente da Tacconi diretti alla discarica e in altre aree, ma alla richiesta di rinforzi e utilizzo di telecamere notturne non fu data risposta. E passarono anni. Fino al 2013, quando Di Bello fece l’ennesima denuncia di non corretta gestione della discarica chiusa e dell’adiacente stazione di trasferenza, violazione in materia di gestione, incendio doloso e associazione di tipo mafioso tesa al controllo del servizio di smaltimento rifiuti. S’effettuarono misure radiometriche, e se in vari punti attorno alla discarica il risultato fu di 0,13 micro Sievert l’ora in prossimità dello scarico di percolato a valle fu riscontrato 0,24, valore scrissero, che differiva “significativamente” dalle altre misurazioni. “Ne deriva – si denunciò nel report con il contributo dell’allora Responsabile Dirigente Fisico Medico del Crob Piernicola Pedicini – il convincimento della presenza di un contenuto di radioattività proveniente da fonti non naturali”. Non era una conclusione esaustiva scrissero alla Procura di Potenza, ma un primo passo verso una necessaria analisi più approfondita.
La maledizione dei mattoni. Analisi o no, necessità o meno, la risposta arrivata dalla Procura di Potenza in merito alla fine del procedimento penale relativo alla discarica di Genzano del 2008 riporta che “visto il provvedimento del giudice del 30 settembre 2016, dichiara il suo non luogo a provvedere”. In poche parole non potete consultare gli atti, probabilmente dopo otto anni c’è ancora un’indagine in corso. La Procura di Firenze invece è stata più celere nell’azione di indagine a sventare reati ambientali in un territorio che si ritrova oggi coinvolto di nuovo in una rete nord-sud di traffico illecito di rifiuti con implicata la Camorra. E vent’anni dopo si parla ancora una volta di fanghi tossici finiti anche per fare mattoni o in cave e terreni agricoli. Le imprese coinvolte sono la Ila laterizi di Matera e la Scianatico Laterizi di Genzano (Potenza, ndr). La Ila, stando alle visure camerali, vede soci Fingea srl col 47,73% che risulta un’agenzia immobiliare di Bari, la Tecnoimpianti srl col 46,33%, un general contractor con profilo volto alle costruzioni edili, villaggi turistici, complessi commerciali, e Margherita Scianatico con la quota più piccolina del 5,45%. E stanno tutti allo stesso indirizzo a Bari. Piccole quote sono infine in mano alla Edil Sole srl, e alla Marte srl che assieme ad altre società ruota intorno alla galassia del Gruppo Fantini e ai suoi problemi. Sia Edil Sole sia Marte risultano in liquidazione in visura, e hanno rappresentanti domiciliati a uno stesso indirizzo foggiano questa volta, a Lucera. E a Lucera il Gruppo Fantini è conosciuto per la discarica della Iao srl che ha visto vari sequestri nel tempo per smaltimento di rifiuti tossici. Nel 2000 il sostituto procuratore di Lucera Dott. Antonio Laronga dichiarò in una Commissione che la Celam spa del Gruppo Fantini aveva miscelato argilla con rifiuti pericolosi non compresi fra quelli autorizzati. La Scianatico di Genzano invece, tranne che per i soci minori assenti tra cui il Gruppo Fantini, clona la visura della Ila. La quota maggiore è in mano a Fingea (36,59%), poi Tecnoimpianti (34,15%), infine Margherita Scianatico, questa volta con un più corposo 29,27%. Margherita che, 5 o 30% che sia come amministratore unico delle società resta investita dei più ampi poteri per la gestione.

Cento pecore morte. Stando a due procure antimafia insomma, da un lato imprese in relazione alla Camorra, dall’altro in relazione alla ‘Ndrangheta. Tutte su un territorio. Nel mezzo lucani e pugliesi. E ogni tanto succedono fatti strani. Nel febbraio 2015 un allevatore che ha visto anche pecore partorire cuccioli senza orecchie si presenta davanti gli ufficiali di PG della Procura di Potenza e denuncia. “Negli ultimi venti giorni – affermò – mi sono accorto che le pecore diminuivano… Verificando sui luoghi del pascolo ho rinvenuto alcuni capi morti, all’incirca cinque o sei, ma all’appello ne mancano un centinaio”. A quel punto avendo il sospetto che il bestiame fosse stato avvelenato col veterinario che seguiva l’allevamento portano i capi all’Istituto zooprofilattico di Foggia (IZF, ndr) che non gli ha mai rilasciato alcun documento. Certo il veterinario aveva detto che molto probabilmente “potevano essere stati intossicati”. Ma c’è di più. Riferì che gli animali morti erano stati rinvenuti nei pressi del torrente Basentello tra i comuni di Spinazzola, Banzi e Genzano, e presumeva che fossero rimaste intossicate dopo aver brucato l’erba ai suoi bordi. Dopo un mese Maurizio Tritto, presidente dell’Associazione Intercomunale Lucania (AIL, ndr) si recò con l’allevatore nel luogo dove aveva rinvenuto i capi morti mandati all’IZF per fare delle foto, e dopo dieci minuti di un puzzo proveniente da un Basentello schiumoso e multicolore iniziarono ad avere irritazione agli occhi e dovettero scappare. A fine settembre 2016 il comune di Palazzo San Gervasio commissiona varie analisi tra le quali acqua e sedimenti del Basentello prelevati un chilometro più a valle dal luogo dove erano state rinvenute le pecore morte. Nei sedimenti si riscontrano metalli come alluminio a 18.610mg/kg, ferro a 15.600 e manganese a 734, dunque in quantità elevate, e 6,82 di arsenico, 104 di bario, 1,54 di berillio, 18,6 di boro, 7,42 di cobalto, 13,4 di cromo totale, 12,5 di nichel, 13,9 di piombo, 14,1 di rame, 909 di silicio, 34,5 di vanadio, 40,9 di zinco. Alcuni di tali metalli che stando a un decreto legge (non la 152, ndr), non dovrebbero nemmeno starci in un torrente. E se presenti certamente ne andrebbe capita l’origine.

Fumi, puzze e strani movimenti di autobotti. L’otto settembre 2015, una strana puzza chimica ci dice chi l’ha avvertita, aveva avvolto il territorio tra Palazzo Genzano Banzi e Spinazzola. Molti cittadini in rete s’erano lamentati chiedendo rassicurazioni alle amministrazioni. Tre giorni dopo l’associazione AIL inviò un esposto a varie procure e una mail ai comuni di Genzano Palazzo e Banzi invitandoli a fare lo stesso per accertarne l’origine. Due giorni dopo l’AIL organizzò un incontro a Genzano sulla questione deposito unico di scorie nucleari ma data l’attualità si parlò ovviamente di quel puzzo, e il presidente dell’AIL Tritto parlò di varie situazioni tra cui sversamenti, strani movimenti di autobotti notturni, o durante giornate di nebbia e di neve chiedendo ai sindaci di fare più attenzione sul territorio, di vigliare, ma il sindaco Cancellara, al tavolo dei relatori, rivolgendosi al presidente dell’AIL disse che non doveva fare allarmismo. A quel punto l’allevatore presente in sala che un anno prima aveva denunciato la moria di oltre cento pecore spiegò al sindaco cosa gli era accaduto. Certo è che all’inizio sulla puzza si disse che si trattava della porcilaia presente sul territorio, poi di pollina proveniente dalla Puglia di cui il comune di Genzano e Banzi avrebbero autorizzato lo sversamento nei campi, prassi certo lecita per legge se la materia prima è giusta ma che ci risulta da nostre fonti sia stata attenzionata dal CFS e notificata alle amministrazioni dei due comuni in quanto probabilmente si trattava di pollina miscelata con altri prodotti non proprio legali, ed effettuato anche il sequestro di un mezzo di Garramone. E poi ci sono i convegni, e la gente che chiede se sanno i sindaci cosa brucia Scianatico. Non è che qualche problemino tra Banzi Genzano Palazzo e Spinazzola andrebbe approfondito subito?