È tornata la moria di pesci alle foci del Basento e del Bradano. Cosa ormai a cui ci si è abituati in Basilicata. E oggi racconterò la storia d’un fiume che ha pure visto morie di pesci, e sanguina veleni. Un fiume di cui mi sono già occupato prendendo le solite minacce di querela da politici, e che da tempo lancia un visibile grido di agonia di cui nessuno vuol parlare.

Normalizzare l’anormalità. Dopo aver dato la notizia degli affioramenti anomali sul torrente Salandrella, origine del fiume Cavone raccontato in più occasioni, sono seguite una serie di telefonate in cui, per giustificare l’anomalia, si riferivano i più disparati motivi su un fenomeno riscontrato in altri contesti petrolizzati del materano (e potentino). E cioè su due concessioni idrocarburi vicine tra loro e ricadenti sul corpo idrico Basento-Cavone e minori. All’inizio, e vox populi, pare si trattasse di sanza. Poi il populi ha lasciato il posto agli specialisti di regime, come solito accade nella terra del petrolio. Un geologo di San Mauro ha raccontato in giro che era ruggine scaturita dal ferro usato per la costruzione della provinciale cavonica. E nonostante ne sia scolata così tanta da sparpagliarsi per chilometri e chilometri di fiume i viadotti della cavonica sono ancora in piedi. Per fortuna. Un altro specialista che lavora in Arpab dopo aver iniziato la carriera con ENI, andato guarda caso a ciliege nel luogo incriminato ha parlato di affioramenti naturali. Un motivema classico in Basilicata dove si fanno passare per naturali i veleni più assurdi. Basta pagare e infiltrare gente, come raccontano le centinaia di pagine dell’ultimo Oil Gate. Analizzando acqua e terreno degli affioramenti sul Salandrella però, vien fuori una storia che di naturale ha ben poco.

foto1

Lì dove affiorano fanghi rossi. Il primo punto dove i fanghi rossi e oleosi sgorgano a valle da sottoterra trasportati dalle acque che vengono da monte seguendo falde superficiali e versanti (foto1), così come capitato nella vicina Ferrandina parte della stessa concessione idrocarburi, si trova sul lato salandrese del torrente. L’affioramento forma un vero e proprio stagno rosso sangue e oleoso (foto2), con puzza d’uova marce a giorni alterni, in alcuni punti più diluito per via del continuo scorrimento dell’acqua. Poi prosegue come un torrentello per un centinaio di metri sino al viadotto per rinfilarsi sottoterra e riaffiorare cento metri oltre il viadotto sul Salandrella (foto3). Un comportamento che mantiene per chilometri lungo il suo corso (foto4), assecondando flussi idrici e piogge che gonfiano le falde. Come la patina oleosa riscontata in più punti a distanza tra loro (foto5). Il laboratorio che ha analizzato l’acqua ha riferito che non essendo il campione filtrato e trattato con acidi potrebbe essere sbagliato parametrare l’analisi ai limiti delle Concentrazioni soglia di contaminazione (Csc, ndr) previsti dalla legge 152 per le acque sotterranee. Sappiamo però che l’acidificazione consente di stabilizzare la concentrazione di metalli e altre sostanze che tendono a degradare in tempi brevi, quindi a diminuire il carico tossico, e soprattutto che quella roba esce proprio da sottoterra col flusso di acque provenienti da monte. E poi non è detto che seguendo la procedura esatta, ha confermato il laboratorio, il risultato sarebbe stato diverso.

foto6
foto6

Acque pesantemente contaminate. Se tenessimo conto dei limiti di Csc previsti per le acque sotterranee, le analisi di queste acque catalogate come “reflue” dal laboratorio, raccontano una pesante contaminazione (foto6). Sono fanghi, ripetiamo, che si sono sparpagliati per chilometri seguendo il flusso del Salandrella e che vengono fuori da entrambi i lati anche da sottoterra (foto7). In alcuni punti si sono seccati incollandosi a pietre e colorandole d’un rosso smaltato, cosa che indica una percolazione in atto da tempo in quanto in qualche punto il flusso di fanghi avrebbe avuto modo di terminare da più tempo (foto8). Nel campione d’acqua rossa prelevato al primo affioramento da sottoterra a valle sono stati riscontrati livelli di ferro nell’acqua 2.740 volte oltre Csc, manganese 328 volte oltre, alluminio 193 volte oltre, arsenico 32, e ancora piombo sette volte oltre, nichel circa sei volte e mezzo, cobalto circa due volte e mezzo oltre, boro quasi al limite, e poi bario vanadio zinco e fenoli in quantità sostanziali, e tracce di rame solfati e fosfati. Interessante anche l’indice SAR, il rapporto di assorbimento del sodio del terreno (più elevata è la salinità più alto è il SAR, ndr) da mettere in correlazione proprio con il totale di sali disciolti (TDS, ndr) riscontrati in 350mg/l. Non male in un’area di fiume dell’entroterra lucano senza una sola industria.

foto3

Suolo quasi contaminato da idrocarburi pesanti e cocktail di metalli. Il terreno preso ai bordi dello stagno che si forma nel primo affioramento, in quanto era difficile prelevare al suo interno, racconta una storia particolare. Avevo già riportato in altre inchieste come nel 2009 l’Ispra scrisse che a livello nazionale non sono stabiliti standard di qualità dei sedimenti nelle acque interne e sono spesso utilizzati impropriamente i limiti fissati nella 152 nonostante un decreto ministeriale ha stabilito nuovi criteri di monitoraggio e classificazione adeguandosi alla normativa europea che imponeva entro il 2015 il “buono” stato dei fiumi. Le sostanze riscontrate da quel terreno preso ai bordi dello stagno completano il quadro. Sono presenti 36,4 milligrammi/chilo di idrocarburi pesanti, non normati nel decreto del 2009, ma nella legge 152 del 2006 in 50 come Csc. Siamo quasi alla contaminazione dunque. Con quell’acqua scendono quindi idrocarburi pesanti che s’accumulano e sono assorbiti dai terreni. È stato riscontrato anche un cocktail di metalli pesanti d’assoluto rispetto per tale area. Si va dall’arsenico al berillio al cadmio, cobalto, cromo totale, nichel, piombo, rame, stagno, vanadio, zinco. Stando al decreto del 2009 il cadmio è fuori norma, il nichel a metà limite, e gli altri metalli non normati nel decreto come berillio, cobalto, rame, stagno, vanadio, zinco, tutti parte integrante di fanghi di perforazione della filiera del petrolio come riportato in centinaia di studi scientifici, ve ne sono tracce da non prendere alla leggera tenendo conto di un campione preso al bordo dello stagno creatosi col deflusso continuo dell’acqua.

foto2
foto2

Forse bisognerebbe studiare il fenomeno? Certo ENI-Shell in Val D’Agri hanno provato vari sistemi fluidi di perforazione, e nel 2006 sono tornati a un fluido di cloruro di potassio che portava a una elevata contaminazione di TDS riscontrati in diverse acque (anche rosse) tra Montemurro e Corleto. Certo si producono rifiuti, certo la recente performance giudiziaria vede ENI rientrare in uno scandalo relativo allo smaltimento illecito di oltre un miliardo di chili di rifiuti petroliferi tra potentino e materano. Certo Salandra è terra di imprese implicate in illeciti da gestione rifiuti petroliferi nel tempo. E certo circa 430 metri a monte della collina salandrese ci sono i pozzi Salandra2 e Demma 1 e 2 in passato attenzionati. A Demma 1 il Piano di Caratterizzazione ha chiarito che dei campioni di terreno erano contaminati da cadmio venti volte oltre il limite e piombo due volte e mezzo oltre, e dalle analisi condotte in contraddittorio con Arpab emerse in un campione anche il superamento per il vanadio, a 102,549mg/kg con limite 90. Tutta natura per ENI. Nelle indagini integrative campioni di terreno prelevati nelle vicinanze dello Scavo1 presentarono una contaminazione da piombo (antropico invece) con limite 100 a 1.900mg/kg. ENI non trovò nessuna falda nonostante stando all’Autorità di bacino lucana in quell’area risultano falde superficiali (foto9). E non potrebbe essere diversamente vista la sorgente che sgorga un centinaio di metri sotto il pozzo, dalla parte opposta della collina che s’affaccia sul Salandrella, e dove sono già ben visibili affioramenti rossi dal terreno simili a quelli riscontrati a valle (foto10). In che modo quindi, i pozzi a monte interagiscono con falda e flussi idrici?

foto4
foto4

L’impronta chimica del Cavone. Qualche spiegazione forse si può trovare in quanto riscontrato in altri luoghi lungo il Cavone, che intercetta anche situazioni anomale nell’area della concessione Serra Pizzuta di Pisticci più a valle. Dopo vari chilometri nel fiume arrivano infatti le acque di Fosso La Noce nei pressi di Marconia di Pisticci. Qui acque rosse che sgorgano in un torrentello hanno presentato una impronta chimica simile, con potenziale contaminazione da manganese, solfati a ridosso della contaminazione, e boro. Nei sedimenti di questo affioramento rosso (foto11) c’è un andamento di metalli con alti valori d’alluminio, ferro, potassio, magnesio e calcio. E poi i soliti arsenico, bario, manganese, piombo, e metalli tipo tellurio e silicio. Poche decine di metri più a valle nell’acqua di un’altro affioramento argentato e nero lungo lo stesso torrente, tracce di cadmio e 35,9µg/l di idrocarburi totali, una pesante contaminazione da arsenico, contaminazione da solfati a 530, e tracce di boro, manganese e ferro. Nei sedimenti calcio a oltre 57mila mg/kg, ferro oltre 12mila. E poi arsenico, alluminio a 5.600mg/kg, bario 12, cobalto 4,3, cromo 23,9, magnesio 4.700, manganese 310, molibdeno 0,5, nichel 20,3, piombo 2,36, silicio 140, tellurio 2,06, vanadio 10,9 e zinco 30,3. Ancora una volta una certa impronta chimica.

foto5
foto5

Cosa arriva alla spiaggia dei bambini? Intanto alla foce del Cavone, parecchi chilometri più a valle della percolazione riscontrata tra Salandra e San Mauro, ogni tanto appaiono fanghi neri e maleodoranti. Dalle analisi svolte per capirne la natura dopo la notizia del ritrovamento, il laboratorio Sca srl riscontrò 1mg/kg di cadmio su limite 0,3 del decreto del 2009 non considerato, cobalto a 3,7, zinco a 51, vanadio a 5,5, e in un campione idrocarburi pesanti a 5,9. Arpab, che riportò i dati di 9 metalli anziché 16 previsti per legge, trovò più zinco, ma pure 10mg/kg di piombo con limite 30 nel DM2009 non considerato, e 0,08mg/kg di mercurio, e cioè 80µg/kg con limite 30 stando allo stesso decreto, nichel a 42 (limite 30, ndr), 57 di cromo, e arsenico a 5,7 (limite 12, ndr). L’associazione Cova Contro commissionò analisi che evidenziarono nei sedimenti umidi dei fanghi le stesse sostanze di Arpab e Sca con l’eccezione del vanadio molto più alto a 23,3mg/kg. Sia Sca che Arpab non cercarono né il bario né il boro. Il laboratorio privato a cui si rivolse Cova Contro rinvenne 46mg/kg di bario. L’Arpab neanche cercò il vanadio nonostante se lo trova quando analizza le aree pozzo e chiede a ENI di integrarlo in ricerca. Un piccolo particolare sfuggito ad Arpab e Comune di Pisticci come rilevato da Giorgio Santoriello, fu l’analisi della frazione acquosa del fango che ha mostrato stando alla sola legge 152 una contaminazione del neurotossico manganese a 247µg/l, boro prossimo alla soglia di contaminazione, ferro e solfati.

foto7
foto7

La Basilicata galleggia su un lago tossico? Ritrovare affioramenti di fanghi rossi oleosi in vari punti vicino le concessioni colpisce. E puzza pure. Nel bosco di Ferrandina, sempre in area Cugno Le macine (foto12) che interessa come concessione pure Salandra, le acque affioranti dalla falda superficiale che origina il torrente Vella hanno mostrato ferro 15 volte oltre la soglia di contaminazione della 152, manganese 4 volte e mezzo oltre, e poi boro e idrocarburi totali. Anche di fianco il pozzo Pisticci 6, concessione Serra Pizzuta, da una vasca percolano gli stessi fanghi, e alla base c’è un bocchettone di quelli che si attaccano alle autobotti con un tubo che va dritto nella vasca. Ma tutto tace da mesi. Sul fiume Basento ho documentato gli stessi fanghi rossi sversati (foto13). Basento che vedeva un primo affioramento di questa roba ben sette anni fa, quando a valle d’un versante prima dello scalo ferroviario di Ferrandina che finisce nel fiume e dipende dalla stessa falda superficiale a monte, ne documentavo la fuoriuscita da sottoterra (foto14). È interessante mettere gli affioramenti su un’unica mappa che tenga conto delle due concessioni materane (foto15). Almeno i lucani possono accontentarsi d’una visione complessiva di un problema serio, o d’una ipotesi normalizzante, vivere sopra un enorme lago sotterraneo fatto da ferro manganese idrocarburi arsenico piombo nichel boro bario berillio vanadio zinco rame cobalto molibdeno tellurio tallio silicio cromo mercurio TDS fenoli solfati fosfati. In base alla fantasia, scegliete l’ipotesi che v’aggrada.

foto8
foto8
foto9
foto9
foto10
foto10
foto11
foto11
foto12
foto12
foto13
foto13
My beautiful picture
foto14
foto15
foto15