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La lezione di De Ruggieri prof.

Anni fa partecipai a una formazione sui sistemi di gestione qualità in ambito culturale, e altre ne partirono per formare varie figure. Tra i professori c’era l’attuale sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri, che come altri ascoltai con interesse. Non so se e quanti hanno avuto modo d’operare nel settore mettendo in pratica i fondi europei spesi per pagare docenti e formare i ruoli, certo sulla questione culturale s’aprono problemi. Nell’accezione geografica Capitale è segno che rinvia a una città “a capo” d’una nazione, rappresentativa d’un popolo e dei suoi comportamenti sociali, politici, economici, scientifici, accademici, artistici, ecc. Un segno che rinvia anche al modo in cui nella città sono divisi spazi, come agiscono sui cittadini e sono a loro vota agiti, alle modalità in cui la cultura che si forma negli e tra gli spazi retroagisce sui cittadini, ai linguaggi messi in atto, e a come questi livelli interagiscono, s’intrecciano, e s’attualizzano. Mi chiedo se Capitale europea della cultura indichi un luogo in grado di innovare, rappresentando il meglio d’una cultura di nazioni e popoli.

La semiosfera e i confini del suo reality. Se consideriamo il termine Capitale come segno, è interessante valutare le obiezioni alla sua centralità. Per Jurij M. Lotman nessuna parte presa separatamente è in grado di funzionare, “lo fa soltanto se è immersa in un continuum semiotico pieno di formazioni di tipo diverso collocato a vari livelli di organizzazione”. Questo continuum è chiamato semiosfera, in analogia all’ambito necessario all’essere vivente per la sua sopravvivenza biologica, la biosfera. E in questa storia lucana biosfera e semiosfera c’entrano. Stando alla metafora organicista la semiosfera sarebbe lo spazio necessario all’essere vivente per la sua sopravvivenza culturale, e cioè di produttore di senso. Uno spazio inteso come ambito necessario che può anche produrre insensatezza, e come ogni spazio ha confini che rivelano meccanismi di frontiera. Nella tradizione culturale premoderna i meccanismi erano rappresentati da figure sociali come il boia, il mugnaio, lo stregone, le cui case erano in periferia, al confine fra mondo culturale e mitologico. In Basilicata c’erano le masciare ancora nella modernità. Isabella Pezzini e Franciscu Sedda riprendendo Lotman e scrivono che è la mitologia intorno al sistema dei media a creare attualmente figure che fungono da sistema traduttivo e filtro fra culture differenti. I reality show per esempio sono spazi in cui vengono frullate assieme, e spesso, le più differenti culture. Si pensi all’abusato paradigma semiotico della sessualità, e a tutte le categorie messe in gioco (omo/bi/etero/trans/…) che senza le giuste chiavi di lettura attivano nei fruitori prevalentemente interruttori emotivi di compassione/rabbia, dimenticando spesso le storie umane che vi sono dietro.

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Cripta del peccato originale (part.)

Ambiente esterno e cultura. Ogni confine si caratterizza per la sua natura bivalente di divisione e collegamento, e per una certa instabilità, opponendosi a un centro in cui, osservando la Storia ricordano Pezzini e Sedda, almeno da tre secoli sono organizzate le “strutture culturalmente dominanti”. I confini oltre a configurarsi come spazi di commistione e connessione, favorendo la nascita di nuovi linguaggi e nuove comunità, sono necessari alla cultura perché rimandano a un ambiente esterno che stabilizza il sistema di produzione del senso che governa la cultura. Quando manca la cultura addirittura se lo crea, come testimonia l’opposizione primitivo/civilizzato nell’antagonismo del III secolo d.C fra civiltà e barbari, o all’opposto fra società corrotta e primitivo puro nel mito del buon selvaggio del XVIII secolo. Ogni cultura, al fine di sopravvivere e consolidarsi in quanto sistema che si regge su una certa produzione di senso piuttosto che su un’altra, può quindi arrivare a prodursi l’ambiente esterno di contrasto. Il paradigma espressivo umano/alieno caro alle Arti contemporanee rappresenta forse il più estremo tra i meccanismi di frontiera, relativo ai confini tra mondo conosciuto e sconosciuto. La diversità per eccellenza, la figura dell’alieno, è usata in letteratura e cinema come distruttore, con la precisa funzione di disorganizzare il mondo di arrivo, o come creatore, con la funzione opposta di riorganizzare un mondo malato conosciuto.

Linguaggi e comunità. Per lo storico A. J. Jensen, la cultura è conoscenza del mondo rappresentata e strutturata. A caratterizzarla per Lotman è la continua tendenza alla riformulazione, all’elaborazione di “grammatiche”, ed è possibile comparare culture osservando la loro tendenza a produrle. Si parla di culture grammaticalizzate come più consapevoli di sé, stabili e lente, e di culture “testualizzate” come evolutivamente veloci in base alla produzione di testi in qualche modo esemplari. Il semiologo Paolo Fabbri ha affrontato il concetto di testi esemplari nei contenuti dei media della società contemporanea, evidenziando il meccanismo su cui si basano, il testo come “stampo” per la produzione di altri testi, il cosiddetto format, programma-base da rifinire in contesti di messa in onda diversi. Ma produrre testi è prima di tutto produrre segni. Lotman ricordava che una delle tendenze maggiormente sviluppate dall’approccio tipologico alle culture è proprio quello di classificarle in base al loro “rapporto con il segno”, al modo in cui pensano e trattano i loro segni, o come diceva A. J. Greimas “al modo in cui costruiscono il rapporto fra segni e realtà”. Del resto l’ambiente culturale come spazio di generazione del rapporto fra segni e realtà è fattore determinante nella costruzione della personalità umana, produce l’immagine ideale della cultura su cui vengono educati i giovani in crescita.

Meccanismi di frontiera. Se partiamo dagli spazi reali di Matera, quelli che segnano i confini del vissuto e in qualche modo l’hanno identificata culturalmente come “città dei sassi”, l’opposizione barisano/caveoso è fondamentale. Matera è una città spazialmente e temporalmente segnata per via di una “frattura naturale” su cui poggia il nucleo urbano e su cui si sono andati a installare insediamenti umani già nella preistoria. Da quel momento in poi questa frontiera naturale ha permesso alla città di vivere su una specie di linea di collegamento spazio-temporale. Linea che da un lato ci proiettata in un luogo e in una cultura ancestrale, spazio rupestre bloccato nel tempo della prima cellula di società organizzata come fermo immagine, dall’altro luogo dove il tempo ha continuato a scorrere e vedere il sovrapporsi di spazi, società, culture. Matera deve fare i conti con questa sua natura di “crepa culturale”, di produttrice di senso capace di collegare culture spazialmente e temporalmente separate. E ha bisogno di assecondare quella crepa che in fondo segue le sue direzioni. Troppe volte la crepa si presenta come una latrina a cielo aperto che camminata da un lato conduce all’uomo di Altamura, seguita lungo il suo corso a quel mare battuto dagli esuli troiani che vi trovarono una terra salvifica e dove oggi proprio nell’indifferenza culturale trovano morte fauna ittica ed ecosistema. Una frattura inondata anche da grammatiche da format, come in ambito cinematografico è la riproducibilità di un set da cui sovente è eliminato luogo e tempo del presente per essere puro consumo.

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La crepa

Rapporti fra segni e realtà. L’approccio tipologico alle culture è classificarle in base al modo in cui costruiscono il rapporto fra segni e realtà. Per Matera è la diatriba di cui si sono occupati molti, ancora in essere tra polemiche su marchi immagine nomi slogan interessi politici. Ma non è dalla realtà come conoscenza del mondo-territorio rappresentata e strutturata che si racconta un progetto? E un “come”, di altri meglio non parlarne nell’Italia delle lobby, lo ha ricordato Il Sole 24 Ore in un articolo sulle divisioni. C’è un “pensiero basico” al motto “ognuno per sé nella migliore tradizione”, un sindaco “incagliato” sul rimpasto, accuse d’un ex assessore, treni inesistenti, alchimie politiche locali e regionali. “Fratture” moltiplicate a ogni livello. La bella Matera resta su una frattura naturale di connessione spazio-temporale, una fortuna rara per costruire il rapporto fra segni e realtà, ma perisce lentamente grazie al menefreghismo di ambienti culturali primi produttori di segni su quanto accade all’acqua nella regione dei petrolieri. Muore sulla divisione tra Matera come centro e provincia come periferia, sbagliando a tracciare la frontiera necessaria a stabilizzare il sistema di produzione di un nuovo senso. Per esperienza diretta sul territorio, più incisiva di altri luoghi petrolizzati, non dovrebbe segnare un limite netto tra economia fossile e non? In fondo il dossier racconta di tecniche primitive innovative per portare il bene primario per la vita, l’acqua, a tutti. La cultura ancestrale dell’acqua e la coscienza della vita non potrebbero innovare con l’idea di Blu Economy creando un modello di futuro che l’Europa copi? Mi è capitato di parlare varie volte di Blu Economy in Basilicata anni fa, e mi sono sentito alieno. Intanto la cultura muore perché permette di ricoprire di monnezza ogni frattura sul territorio, persino le piazzole di sosta sulle arterie stradali, negando con segni fisici come una sorta di opera land art un’identità pulita a chi arriva. Ma in fondo è solo il grande gioco della produzione culturale.