di Gian Paolo Farina e Giorgio Santoriello

Cosa c’è di interrato nell’Itrec? Lo chiediamo da anni, e da anni chiediamo alla politica locale di investire le compensazioni ambientali per capirlo. La cosa anomala è che anche gli enti romani sembrano girare attorno a questo problema ed il poco materiale fotografico sulla materia è ad “uso ristretto” come si legge nelle foto di seguito allegate. Pensiamo da tempo che non solo le mancate risposte ma anche le mancate domande o prescrizioni siano in realtà funzionali ad un disegno chiaro: nascondere il reale stato delle cose nonostante la materia sia ufficialmente afferente al nucleare civile e non militare, quindi sottoposta all’art. 8 della direttiva 2014/87 Euratom che impone non solo il diritto alla conoscenza per le popolazioni locali ospitanti siti nucleari ma anche il diritto alla partecipazione nei processi decisionali in materia. In un documento Arpab del gennaio 2018, sotto allegato, veniva scritto che nei pozzetti di drenaggio P2,P3 e P8 nell’area Itrec, risultavano nei prelievi del 2017 concentrazioni di radionuclidi beta e stronzio 90 nello “…stesso ordine di grandezza…” degli effluenti raccolti nelle vasche di scarico a mare. Come sia possibile che nella rete di drenaggio sotterranea al sito vi sia la stessa radioattività degli effluenti di scarico a mare nessuno continua a spiegarcelo, idem per l’andamento temporale di questi tenori nel tempo. Ricordiamo che proprio grazie alla consulenza di Criirad abbiamo appurato che i beta-emettitori, come trizio e stronzio 90, non vengono ricercati da Sogin nella fauna ittica nonostante la diluizione degli stessi nello scarico a mare. Quest’acqua di falda prelevata mediante pozzi dal fiume Sinni, circolante nella rete di drenaggio Itrec-Enea con cosa entra realmente in contatto durante la sua circolazione interna? Perchè nessun ente fornisce l’esatto modello di circolazione delle acque sotterranee della Trisaia? Quanto prelevano dal fiume e quanto si scarica effettivamente in mare?
Nel documento Arpab si riporta che i soli limiti sulla radioattività sono applicati allo scarico marino non nei pozzetti di drenaggio nonostante nell’area ricadono: fossa 7.1, fossa 7.2, parco waste/rifiuti liquidi ed altro. Arpab chiude la nota in maniera enigmatica dicendo che:”…il rispetto globale dei limiti (formula di scarico) deve essere garantito ad ogni scarico rispetto sia al limite giornaliero che integralmente rispetto ai limiti cumulativi; le verifiche devono essere assicurate in continuo dall’esercente con la vigilanza di Ispra.” Il senso di questa chiusura ci sfugge: è una precisazione, un richiamo, un refuso o uno scaricabarile? Ennesima domanda priva di risposta ad oggi: perchè nelle analisi incrociate con Sogin ed Arpab hanno coinvolto Tecnoparco? Come si è arrivati ad individuare Tecnoparco che mai era comparsa prima nella analisi in area Itrec? I laboratori di Tecnoparco hanno svolto analisi solo sul chimico o anche sul radiologico? Perchè i certificati di Tecnoparco non sono online? Nonostante i pregressi giudiziari e di cronaca di Tecnoparco era obbligatorio rivolgersi a loro?

Perchè nel giugno 2011 si sospese temporaneamente lo scarico marino per un picco di cesio 137? Da cosa venne causato quel picco ad oggi resta un mistero, come un mistero rimane la composizione del liquido uscito dal monolite 5 anni fa, come un mistero è rimasto lo studio idrogeologico sul livello di falda dell’impianto ufficialmente distante diversi metri dal monolite come ci diceva il Dott. Petagna durante i passati tavoli della trasparenza ma che in realtà in immagini dell’epoca la Rai con Ambiente Italia, riprese zuppo d’acqua alla base. Perchè lo Stato italiano mediante Sogin sta violando ripetutamente le leggi su trasparenza e partecipazione evitando di pubblicare i documenti? Nessun magistrato vuole intervenire su queste violazioni o dobbiamo aspettare sempre il danno compiuto?
Nel verbale di prelevamento dell’acqua di drenaggio viene riportato da Arpab che l’elevato flusso di acqua non abbia permesso nel 2017 di campionare secondo i criteri migliori, da manuale Ispra, e quindi ciò potrebbe aver inficiato l’analisi dei composti volatili rinvenuti in falda nell’Itrec. Arpab confermerà anche in un altro documento del 2018 che in falda vi erano tenori di stronzio 90, radionuclide artificiale, normalmente non riscontrati in falda. Fin qui abbiamo appurato il silenzio delle autorità circa l’origine di cesio 137 in mare nel 2011 e di stronzio 90 in falda dopo, senza cause o sorgenti precise. Si parla di inquinamento in caso di alterazione che anche se sottostante a limiti di legge e pur non essendo rilevante dal punto di vista radiologico si accumula e si muove denotando un aumento rispetto ad un presunto bianco ambientale equivalente a zero (punto zero mai fatto per la Trisaia – ndr). Parlando di radioattività qualcuno dovrebbe spiegare queste anomalie. Ma non finisce qui.

C’è un serbatoio interrato nell’Itrec, il W 120 che ufficialmente dovrebbe contenere il cosiddetto prodotto finito, nitrato di uranio e torio, derivante dalle attività di riprocessamento nucleare di alcune delle barre di Elk River. Sulla tenuta e lo stato di conservazione di questo serbatoio sotterraneo, sulle ispezioni ricevute, non esiste online un solo verbale se non un paio di foto. Non sappiamo nulla della vita di questo serbatoio come degli altri citati in alcuni atti relativi all’ICPF sotto allegati, se non che le ispezioni di Sogin avvengono in remoto, con sonde, come è visionabile dalle foto di materiale ad uso ristretto.
Non siamo per fortuna gli unici a preoccuparci, infatti oltre alle inchieste dell’antimafia in corso, anche un sindacalista della UIL nazionale, Paolo Pirani, da tempo accusa Sogin di gravi responsabilità in diversi contesti, lavorativi e non solo, parlando di mancata discontinuità col passato. In una nazione democratica il diritto alla conoscenza ed alla partecipazione è garantito sempre e non solo ad incidente avvenuto, come spesso è accaduto in Basilicata.