La storia degli smaltimenti in mare vista attraverso missioni, documenti e mappe sulle aree di abbandono dei rifiuti nucleari e sullo stato di conservazione dei loro contenitori, quando il mare era considerato dai governi molto prima della criminalità organizzata, la più economica discarica per rifiuti radioattivi.
Nel 1981 l’International Atomic Energy Agency (IAEA, ndr), riprendendo un meeting del Comitato Tecnico sui contenitori per lo smaltimento in mare organizzato a Vienna due anni prima, scrive che nei passati tre decenni molti Stati hanno avuto il vantaggio di usare l’oceano come discarica per certi tipi di rifiuti radioattivi1. Per essere precisi in riferimento all’oceano più che discarica IAEA associa il termine “disposal medium“, facendo emergere la chiara visione di mare come mezzo per eliminare rifiuti nucleari. IAEA riporta che negli anni Cinquanta e Sessanta i controlli sullo smaltimento di rifiuti radioattivi nei fondali oceanici erano fatti dagli stessi Stati, e non c’erano controlli internazionali. Solo nel 1972 con la Convenzione di Londra per la prevenzione all’inquinamento marino, nota come London Dumping Convention, IAEA ebbe la responsabilità di definire il livello di radioattività dei materiali radioattivi che potevano essere scaricati in mare, e fornire raccomandazioni sullo smaltimento che divennero operative nel 1978. Il meeting internazionale del 1979 doveva fare il punto sui contenitori di rifiuti radioattivi proprio alla luce delle responsabilità della IAEA sullo smaltimento in mare, e nonostante ancora si dovesse fare il punto sulle tecnologie di smaltimento migliori per non rilasciare radioattività nel mare, si continuò a smaltire in mare certamente sino al 1982.
Il punto si doveva fare perché si sapeva che nel tempo i contenitori di rifiuti radioattivi potevano deteriorarsi e inquinare, ma solo nel 1981 IAEA rivide le Linee Guida per i contenitori di rifiuti radioattivi da scaricare in mare pubblicate qualche anno prima dalla Nuclear Energy Agency (NEA, ndr) sulla base delle esperienze di smaltimento avvenute dal 1967 al 1976. IAEA ribadì che la tecnologia relativa ai contenitori era stata sviluppata negli anni alla luce dell’esperienza, ma era ancora in miglioramento in funzione delle diverse circostanze possibili. Le circostanze erano dettate da: corrosione marina, interazione coi sedimenti, microrganismi, pressione idrostatica, ossigeno disciolto, ossidazione. Tra gli accorgimenti tecnici da adottare vi era il controllo della compatibilità tra rifiuti radioattivi e sostanze usate per immobilizzarli, che dovevano assicurare una matrice solida con una sufficiente resistenza meccanica e ai percolamenti, in modo da avere un rilascio lento di radionuclidi. Tra i materiali usati per immobilizzare e i rifiuti poteva sopraggiungere un numero indesiderato di effetti avversi. Si parla di rigonfiamenti, fratture, solidificazione incompleta, e riduzione delle proprietà meccaniche delle sostanze immobilizzanti come cemento, bitume e polimeri organici.

Alcuni studi avevano stabilito limiti di tolleranza per assicurare soddisfacenti matrici solide. Dunque c’erano dei limiti di tenuta di quei fusti che scaricavano in mare, e infatti tennero conto delle informazioni che arrivavano dal Governo degli Stati Uniti2. Il 31 luglio 1976 la nave di ricerca Cape Henlopen dell’Università del Delaware, tirò su da 2.783 sotto il mare un fusto di 763 chili per il quale venne estensivamente documentata la corrosione (le foto allegate si riferiscono tutte a questa ricerca americana -ndr). L’isotopo più pericoloso presente in quel fusto, il numero 28 stando ai registri, era Cobalto 60. Certo scrivevano che tutto sommato dopo 14 anni in mare le condizioni di quel fusto erano migliori di quelle che ci si aspettava, ma sottolineavano che prima di trarre conclusioni sulle buone condizioni dei fusti per futuri scarichi nell’oceano, era necessario considerare che il loro punto di vista era volutamente parziale in quanto molti altri fusti visionati con il sommergibile Alvin erano in condizioni peggiori, e il fusto tirato su era stato scelto proprio perché tra quelli messi meglio, in condizioni sufficientemente buone per sopravvivere al viaggio in superficie riportano, quindi servivano informazioni sulle prestazioni dei contenitori usati in passato. Stimarono tra 25 e 37 anni prima che la corrosione causasse la perdita di efficacia come barriera alla migrazione della radioattività3.
Quei fusti in fondo al mare ed il controllo qualità postumo. Nel documento IAEA sul packaging, si riporta che le radiazioni possono agire sulle proprietà della matrice solidificata di rifiuti, e anche se difficilmente, causare alterazioni significative. Sanno per esempio che i rifiuti di impianti nucleari dopo un lungo periodo logorano la stabilità della matrice solida. E scrivono che fusti e container devono essere progettati in modo da avere una dispersione minima di contenuto radioattivo dopo gli impatti dovuti alle fasi di movimentazione e smaltimento. Avevano persino fatto dei test durante esperienze operative per dimostrare che se si seguivano le specifiche costruttive non risultavano danni da impatto provocati dalla caduta dei contenitori dalla nave alla superficie del mare. Anche la pressione è un fattore importante. Se non si usa un sistema di equalizzazione della pressione nei contenitori che presentano vuoti, possono aver luogo molte deformazioni in funzione del contenuto e delle forze meccaniche a cui saranno sottoposti. E un fattore cruciale la pressione, tanto che nel documento dicono che devono essere incoraggiate le ricerche sui sistemi di equalizzazione. C’era ancora bisogno di imparare. E c’era bisogno di tener conto dell’influenza del tasso di corrosione dovuto alla temperatura. Esperimenti avevano indicato che in caso di cemento e bitume erano stati osservati fenomeni avversi quando la differenza di temperatura restava tra i 30 gradi e il punto di congelamento per 20-30 minuti. Non risultano oggi studi pubblici ed aggiornati sullo stato di salute dei siti di smaltimento e dei rifiuti stessi.
fusto di cobalto 60 smaltito dagli USA nel 1961 ripescato nel 1976
Scrivono anche di esperimenti che avevano mostrato per il bitume problemi di rigonfiamenti su certi tipi di rifiuti contenenti sali o resine ed effetti simili erano stati osservati anche in matrici di cemento. Ad ogni modo essendo i rigonfiamenti il risultato del rilascio di alcuni contenuti radioattivi, ad essi andava data particolare attenzione. Sulle matrici di rifiuti era stata osservata corrosione, e anche se dati sperimentali confermavano cento anni per far perdere integrità alla matrice solida, IAEA evidenziava il fatto che il tasso di corrosione era fortemente dipendente dal tipo di cemento usato nel processo di immobilizzazione dei rifiuti, e dalle proprietà della matrice. Anche il percolamento di radionuclidi o componenti solubili dalla matrice solida o dagli stessi rifiuti era un fenomeno studiato a fondo. Questi problemi descritti nel 1981 accadevano in anni con in atto standard costruttivi per i contenitori di rifiuti radioattivi, dove era massima l’attenzione alla sicurezza negli smaltimenti in mare che prevedeva appena lo 0,1% di incidenti. Restano però migliaia di contenitori smaltiti dal 1946 al 1972 da diversi Stati senza gli standard di tenuta richiesti successivamente da NEA e IAEA. Il documento riporta che dal 1946 al 1967 furono smaltiti tra Atlantico e Pacifico 86.500 contenitori (a maggioranza fusti) di rifiuti radioattivi dagli Stati Uniti, 117.544 dalla Gran Bretagna nell’Atlantico dal 1949 al 1970, 2.365 dall’Olanda nell’Atlantico dal 1965 al 1972, e 1.661 dal Giappone nel Pacifico dal 1955 al 1969. Si tratta di 74 milioni di chili finiti sotto il mare in contenitori che ripescati nel ’76, dopo appena 15 anni, presentavano segni di deterioramento. Dove e in che stato sono queste enormi discariche radioattive marine lo scopriremo nella prossima puntata.
Sitografia:
1 Packaging of radioactive wastes for sea disposal, Report Technical Commiteee meeting on cantainers and packaging ocean dumping organized by International Atomic Energy Agency, 1979;
2 On Board Corrosion of a Recovered Nuclear Waste Container, Office of Radiation Programs U.S. Environmental Protection Agency, 1979;
3 Analysis AND EVALUATION OF A RADIOACTIVE WASTE PACKAGE RETRIEVED FROM THE ATLANTIC 2800 METER DISPOSAL SITE, Office of radiation programs U.S. Environmental Protection Agency, 1979;