Uno dei più grandi esperti ENI ricorda gli anni ’80 in Val D’Agri come il periodo dei pozzi esplorativi di Costa Molina e Monte Alpi, e gli anni ’90 dei pozzi di “appraisal” come: Monte Enoc, Cerro Falcone, Alli, Tempa d’Emma, Perticara, Gorgoglione, Temparossa, pozzi fatti per estendere l’area produttiva e stabilire l’estensione del giacimento. Dopo una prima parte più generica, con diversi pezzi successivi entreremo nel merito di come è avvenuta questa espansione.
Petrolio, soldi pubblici, e illegalità private. In Val D’agri le società petrolifere hanno sempre ribadito l’importanza di pozzi deviati, orizzontali, e multilaterali. Nel ’96 Agip e Baker Hughes scrissero d’aver iniziato a testare l’anno prima la perforazione deviata nel permesso di ricerca Monte Alpi. Scrivono pure che i tentativi di inclinare buchi fatti sino al ’95 a Monte Alpi Nord 1, Monte Alpi Ovest 1, Monte Alpi 4X dimostravano che la “collisione tra pozzi era inevitabile” se non si considerava una distanza elevata tra essi (foto1). E quando collassavano bisognava ripulirli, erano costi. Solo nel ’99 Agip e Enterprise Oil per progetti di nuove tecnologie di perforazione come straight-hole drilling device, lean profile, e autotrack, per risparmiare evitando collisioni e collasso di pozzi, ottenevano via European Investment Bank (EIB, ndr) contributi della Comunità europea. Ne ottennero anche per una maggiore valutazione dell’impatto dei parametri geologici e morfologici sulla qualità del segnale sismico. Certo dal 1979 l’Agip consociata con la Montedison, ricordano ENI e Centro Nazionale delle Ricerche (CNR, ndr) in un convegno decenni dopo, aveva affidato alla società Ricerca ed Interpretazioni Geofisiche (RIG, ndr) un’importante programma di acquisizione di linee sismiche col permesso Viggiano. Anche quando venne concesso nel ’84 il permesso Monte Alpi alla Petrex (operatore per conto Agip, ndr), si iniziò con una massiccia campagna di acquisizione sismica, che ancora in quel ’99 in cui arrivavano i soldi della Banca Europea, vide protagonista la RIG assieme alla Schlumberger e alla Geco srl, tutte collegate al Gruppo ENI, perforare sino a trenta metri usando cariche esplosive. Per anni hanno fatto con soldi pubblici “esplorazione geosismica in modo illegale con molti impatti ambientali” come denunciato in “Oil Drilling in Val d’Agri EIB Responsibilities in Environmental Destruction“?
Pozzi orizzontali come funghi. Nel ’96 la filosofia per risolvere i problemi della nuova trivellazione fu di fare test, come per Monte Alpi 5 Or, o Monte Alpi 1 Est, dove spiegano che solo dopo errori e accorgimenti ridussero il tempo di esposizione agli shock meccanici prodotti in quel luogo che, ricorderanno sempre ENI e CNR, è “caratterizzato da rotazioni, deformazioni, sovrascorrimenti esterni e probabilmente importanti strutturazioni della Piattaforma Apula Interna sepolta, a cui hanno avuto seguito grandi sollevamenti e distensioni tuttora in corso”. Due anni dopo nel ’98, Agip e Baker Hughes, a proposito delle nuove tecnologie nei pozzi orizzontali del cluster Monte Alpi, scrivono dei pozzi deviati: Monte Enoc 1, Monte Enoc NW 1, Monte Enoc 2 Or (che sembra una giostra guardando la linea di scavo, foto2), Monte Enoc 9 Or, e relativamente agli ultimi due, tra ’96 e ’97, sono i primi esempi al mondo di pozzi orizzontali. Per trivellare i 1.358 metri di sezione orizzontale di Monte Enoc 9 Or ci vollero 40 giorni. In questa situazione con “molti problemi di stabilità della formazione” era obbligatorio “ripulire” i buchi da detriti e depositi vari, sparandoci dentro miscele acide e solventi. Non più di sei mesi dopo ENI e Baker, con l’aggiunta della Schlumberger questa volta, raccontarono l’acidificazione in profondità nei pozzi orizzontali della Val D’Agri e non parlavano più di due, ma di ben sette pozzi orizzontali: Cerro Falcone 1, Monte Alpi 5, Monte Enoc NW1, Monte Enoc 2, Monte Enoc 3, Monte Enoc 9, Alli 1, e d’aver completato anche due pozzi orizzontali definiti “bidrain”, Volturino 1 e Cerro Falcone 2, pozzi di drenaggio atti a aumentare la produttività nella roccia serbatoio come dice Assomineraria, o per immettere fluidi utili a stabilizzare la pressione del giacimento ricorda Schlummberger. Entrambi con piani di caratterizzazione presentati nel 2016 e vicino a sorgenti, come Acqua dell’Abete sottoposta a sequestro anni fa per la contaminazione riscontrata.
Val D’Agri cocktail. Ripulire i pozzi era necessario nel giacimento Val D’Agri, che ricordano con una media di 600 metri di colonna d’olio, petrolio leggero e pesante, e “il fondo del giacimento delimitato da un acquifero a 2.960 metri sotto il livello del mare”. Nello studio sull’acidificazione al paragrafo “Resevoir target” ci informano che in quel giacimento c’erano pozzi multi laterali con la lunghezza del buco orizzontale variabile “in funzione delle zone fessurate” o in cui c’era stata una perdita di circolazione dei fluidi. “La matrice rocciosa – scrivono – è a bassa permeabilità e l’alta produttività è raggiungibile solo se si incontrano una faglia o una rete estesa di fratture”. La “maggior parte delle fessure naturali – continua – sono distribuite vicino le faglie principali ma attualmente è molto difficile capire se sono conduttive o tappate”. Lo scopo del lavoro a Monte Enoc 2Or fu proprio selezionare a quattro chilometri sottoterra “le migliori zone fratturate e trattarle con acido”. Per verificare la presenza delle zone fratturate fecero prima prove di iniezione con “brine”, acqua con molti sali inorganici. Nel caso specifico cloruro di sodio, il sale sodico dell’acido cloridrico (HCl, ndr) che usavano come base per pulire pozzi tubi e aprire fratture. Sapevano che l’acidificazione delle matrici rocciose di un pozzo orizzontale è problematica a causa dell’estensione delle zone da trattare, così per ottenere buoni risultati a Monte Enoc 2 Or pomparono acidi ad alta pressione con getti diretti perché oltre le fratture conduttive c’erano fessure cementate da calcite difficili da aprire. Non è fracking? Dicono di aver usato 15 mila litri di fluidi a base d’acqua con un nuovo prodotto chiamato Self Diverting Acid, in pratica HCl mescolato a un agente gellificante e un cross linker (un sale metallico e un gel, ndr), e che sulla base di altre operazioni di acidificazione effettuate in Val D’Agri decisero anche di pompare a 800 litri al minuto circa 65 mila litri di fluidi a base di acqua e HCl alla più alta concentrazione compatibile ai livelli di sicurezza in termini di corrosione, con dentro inibitori di corrosione, agenti di controllo del ferro, modificatori di zolfo, agenti antisludge, riduttori di frizione, mutual solvent. Prodotti chimici a cui si collegano sostanze come ossido di ferro, solfato ferroso, acidi solfonici vari, polimeri ottenuti da acrilammide, e molto altro. Alcune con comprovati effetti sulla salute.
Sparpagliare solventi. Nel ’91 Shlumberger aveva sottolineato che le riserve carbonatiche sono candidate eccellenti per pozzi orizzontali perché usualmente fratturate, ma che i depositi di asfalteni a fondo pozzo e nelle condotte rappresentano un problema di produzione. Nel ’89 Agip già risolveva nel novarese il problema asfalteni trattando i pozzi petroliferi con HCl e toulene. A causa del basso indice di dissoluzione degli asfalteni però, per ogni fase di pulizia, inclusa quella delle condotte, bisognava pompare toulene alla massima portata possibile. Ce ne vollero tra 30 e 40 mila litri per ripulire un pozzo, di cui solo il 20% fu capace di solubilizzarsi mentre l’80% fu trasportato in superficie in forma solida assorbito in detriti e fanghi. E doveva essere smaltito. Nel ’92 Agip aveva le idee chiare su come affrontare gli asfalteni. Con linee guida della “matrix stimulation”, il trattamento con acidi, solventi, e sostanze chimiche per migliorare l’abilità della roccia perforata a far fluire greggio in superficie. Nel ’94 mentre in Asphaltene Deposition Monitoring and Removal Treatments: An Experience in Ultra Deep Wells Agip raccontava i tipici trattamenti al toulene, dava in mano in Basilicata i rifiuti petroliferi a una società che li trasportava in una sua discarica nel pisticcese sequestrata nel ’95 proprio per la contaminazione da toulene, o-xilene, cloruro di metilene, idrocarburi e altre sostanze trovate in una vasca secondaria che conteneva illegalmente duecentomila litri di rifiuti liquidi speciali. Solventi con effetti su fegato, sistema nervoso, feti e riproduttività. Erano stati sversati illecitamente per la Procura. Per capire il giro di quantitativi basti pensare che in un solo mese dai pozzi lucani Grottole 1 nel materano e Tempa La Manara nel potentino erano arrivati 220 mila chili di fanghi di perforazione tal quale e 650 mila di fanghi inertizzati. In un mese erano oltre tre milioni di chili di rifiuti petroliferi, e il presidente della Provincia di Matera comunicò invece la modica cifra di 736.314 chili di rifiuti extra regionali quando solo la Petrex dalla Campania ne aveva fatti arrivare oltre un milione. Rifiuti lasciati a cielo aperto scrisse la Procura, con la pioggia che aveva creato quantità di percolato tali che in due piezometri esterni i cancerogeni idrocarburi policiclici eccedevano i limiti del doppio.
Closed Loop dei rifiuti. Nel 2000 ENI e Agip in Drilling Wastes Treatment and Management Practices for Reducing Impact on HSE raccontano le loro esperienze con i rifiuti per ridurre l’impatto su Salute, Sicurezza, Ambiente. Ovviamente c’è la Val D’Agri. Dicono che solo alla fine del ’98 hanno smesso di usare gli inquinanti sistemi di fanghi a base di diesel (OBM, ndr), sostituendoli con fanghi a base d’acqua (WBM, ndr), o a base d’olio sintetico, e che per trattare rifiuti contaminati derivanti da WBM e OBM nei loro giacimenti da più di due anni usavano un sistema chiamato Closed Loop. Un sistema usato tra ’98 e ’99 in sei pozzi in Val D’Agri. Il “case histories” Val D’Agri metteva in comparazione sei pozzi che usavano il vecchio sistema mediante cui inertizzavano le componenti pericolose e gli oli per attenersi ai limiti di legge (foto3), aggiungendo cemento e altri additivi come silicati, zeolite. In fine erano trasportati per lo smaltimento finale o il recupero. E abbiamo visto la fine dei rifiuti nel pisticcese. L’acqua era inviata a una unità di condizionamento per ottenere caratteristiche idonee ai limiti di legge, gli oli separati e recuperati per preparare OBM in qualche stabilimento, o bruciati, una piccola parte dicono, in qualche inceneritore. Comparando i risultati di questi sei pozzi con quello di altri sei trattati col nuovo sistema (foto4), il volume di rifiuti complessivi si riduceva del 39% e quello dei rifiuti liquidi del 66. L’acqua trattata fu usata per fare fanghi a base di polimeri e sintesi varie tra: glicole, potassio, calcio, carbonato di sodio, sali di cristallo, e additivi vari per diluire fanghi e pulire l’impianto di trivellazione. Nei sei pozzi in cui applicarono il nuovo trattamento furono riutilizzate 16.128 tonnellate di acqua. In quella Val D’Agri che come dicono aveva bisogno di 270 viaggi al giorno a pozzo per portar via rifiuti e risparmiare il 30% non era poco. Sulle 50 mila tonnellate di rifiuti solidi del ’99 (foto5), dicono che 45 mila sono andate in siti di smaltimento a 130 dollari a tonnellata per quelli che venivano dal trattamento di fanghi a base d’olio, 100 per quelli a base d’acqua, mentre 1.990 tra cementifici e mattonifici. E pensare che nel ’97 una Commissione parlamentare già riportava che a Genzano di Lucania, di cui abbiamo raccontato le recenti vicende, c’era “una situazione alquanto strana” per disfarsi di fanghi industriali, petroliferi compresi.