
Tutti i morti hanno la stessa pelle? Sembrerebbe di no. Era il 5 novembre scorso quando operai che lavoravano con condizioni meteo proibitive allo smantellamento di una nave galleggiante di stoccaggio e scarico (FSO), la SLOUG – ex AGIP Sardegna, nei pressi del campo offshore di Bouri, una delle catene che la legavano al rimorchiatore Asso 29 si è spezzata facendo precipitare i lavoratori in mare. Ad oggi sembrerebbe alla deriva verso le coste turche.
In Italia la notizia è stata ripresa da pochissimi, Altraeconomia e Radio Radicale, neanche l’EMSA (Agenzia europea per la sicurezza marittima) ne fa menzione – escludendo la precisa ricostruzione fatta a Radio Radicale dal corrispondente da Catania il Dott. Sergio Scandura. Nel resto del mondo pare che solo quattro siti riportino scarne informazioni sull’ennesimo dramma sul lavoro, in questo caso nel settore petrolifero.

Da una primissima ricostruzione stona l’impiego del rimorchiatore come Asso 29, immagine a fianco, che rimorchia quella che fu definita negli anni 70 una super petroliera di 350×50 metri. La Asso 29, della Società italiana Augusta Offshore, nota alle cronache italiane perché chiamata a rispondere della violazione di norme nazionali e internazionali che tutelano i diritti fondamentali dell’uomo; sembrerebbe, a detta del Capo Emergenze in Mare dell’ISPRA, Dott. Ezio Amato, essere probabilmente “un rimorchiatore non adeguato” (riportato dal corrispondente) al carico da trainare.
La SLOUG, sostituita nel gennaio 2017 dalla FSO GAZA di 360×60 m., risulterebbe essere stata venduta in gara, comprese le attrezzature e i depositi di greggio lavorato nei serbatoi, ma tutto deve essere confermato; è stata avviata una indagine sull’incidente con una collaborazione tra le parti, così si legge – di cui non si conoscono ancora gli attori.

La Libia ha le più grandi riserve accertate di idrocarburi in Africa, è considerata una provincia petrolifera molto attraente a causa del basso costo del recupero del petrolio, olio di alta qualità generalmente dolce con gravità API compresa tra 32 e 44º, vicinanza ai mercati europei, un’infrastruttura ben sviluppata e controlli Nazionali ed Europei praticamente inesistenti. L’immagine restituisce la folta presenza di colonie petrolifere straniere in terra di Libia. Il giacimento Bouri è gestito da ENI (30%) in partnership con la National Oil Corporation (70%), di proprietà statale, con i due partner che hanno costituito la Mellitah Oil and Gas Company per gestire il giacimento. La produzione dal campo è iniziata nel 1988 attraverso due piattaforme di produzione e la nave galleggiante di stoccaggio e scarico Sloug (FSO). Il giacimento si trova nel blocco NC-41, nord ovest della Libia, che contiene un giacimento di petrolio e due giacimenti di gas.

Ancora una volta dobbiamo sottolineare che lo scenario tunisino-libico, come quello di altre parti del mondo, non è nuovo a questi incidenti ed ai relativi sversamenti in mare.
Un mese prima, ossia il l’8 ottobre, la Libyan National Oil Corporation (NOC) allertava il mondo comunicando una fuoriuscita di petrolio in mare aperto. Durante il processo di scarico su una nave cisterna la FSO FARWASH, ormeggiata a 86 km al largo del confine libico-tunisino, si notava la fuoriuscita di petrolio.
Il comunicato stampa, come tutti i comunicati di questa tipologia, ha rassicurato i lettori che la marea nera è stata controllata e trattata, il che significa che non avrebbe avuto un impatto negativo sulle spiagge libiche.
In merito allo sversamento sopra citato, le elaborazione da noi effettuate sui dati SAR di Sentinel-1, dicono esattamente il contrario di ciò che narrano le raccomandazioni fatte dalla NOC. Le macchie di petrolio sono ancora presenti nei giorni 11, 12, 17 e 18 ottobre, anche nell’area prossima a quella dello sversamento e si dirigono verso le coste libico-tunisine.

Cova Contro si è attivata attraverso la ricerca delle informazioni che potrebbero derivare dall’analisi dei dati satellitari provenienti dal Programma Copernicus e analizzando gli stessi. Chiaramente, come sottolineato dal corrispondente, tutte le istituzioni europee e nazionali risultano assenti. Tutti pronti a fornire indicazioni e Linee Guida ma, ancora una volta, nessuno che entri nello specifico e fornisca a tutti gli utenti informazioni circa gli eventuali impatti ecologici. Di norma, la procedura che adottiamo nella ricerca delle informazioni che provengono dall’analisi dei dati satellitari, come ricordato in altri articoli, percorre la strada dell’analisi diacronica e sincronica degli eventi.
Purtroppo c’è un “enigma” che è emerso nella ricerca ed acquisizione dei dati da satellite: consultando il catalogo ESA il giorno 5 novembre, troviamo una ripresa effettuata nell’area dell’incidente ma, una volta inoltrata la richiesta di acquisizione il sistema va in errore.

Abbiamo posto il quesito all’Agenzia Spaziale Europea circa la mancata acquisizione. Il giorno seguente l’ESA ha prontamente risposto e successivamente è stata concessa la possibilità di scaricare il dato SAR di Sentinel-1. Nell’immagine che segue sono presentate le elaborazioni dei dati SAR dei giorni 4, 5 e 6 novembre.


Considerazioni
Avere la presunzione che tutto sia terminato con l’incidente del 5 novembre scorso sarebbe da ingenui. Malauguratamente il tributo da pagare è sempre molto alto e continuerà ad esserlo, grazie anche alle nuove concessioni che sono state distribuite dai vari Governi favorendo sempre la cupola dei petrolieri. La situazione nel campo offshore di Bouri alla data di ieri 23 dicembre, in merito a oil spill è rappresentata nell’immagine che segue – lo sversamento è superiore ai 6 km di lunghezza.

Conclusioni
Ancora una volta l’elaborazione dei dati SAR di Sentinel-1 ha permesso di documentare, con dati indiscussi, le varie fasi degli sversamenti in mare. Il giorno 4 novembre, anche se di dimensioni molto modeste e provenienti dalla FSO GAZA, si rileva uno sversamento di una lunghezza superiore ai 3 km. L’immagine del 5 novembre ha come orario di inizio acquisizione le ore 05:13:42Z e come termine presa le ore 05:14:07Z. In questo arco di tempo si può nettamente affermare che nessun incidente era ancora avvenuto e non sono rilevabili evidenti anomalie. Un particolare che risponde ad uno dei quesiti posti inizialmente, circa il probabile inquinamento prodotto dalla FSO SLOUG a seguito dell’incidente, è visibile solo nell’immagine del 6 ottobre. L’analisi dei dati SAR permette di apprezzare che dalla SLOUG, il giorno 6 novembre, fuoriusciva del materiale riconducibile a sostanze oleose presumibilmente idrocarburi per un copertura di circa 3.5 kmq.