Il giacimento Val D’Agri tra sfruttamento ambientale e terremoti indotti.

Perforare in area sensibile. Il giacimento su terraferma più grande d’Europa in Val D’Agri (VA, ndr), lo spiegò in una conferenza a Ravenna un team di ingegneri Eni e Halliburton nel 2013. Si tratta di “un’area ambientalmente sensibile” che, dissero, negli ultimi 16 anni ha visto susseguirsi vari sistemi di fanghi di perforazione “per trovare il miglior equilibrio tra minimizzazione degli impatti ambientali e miglioramento della stabilità dei pozzi”. Sistemi che pare non avessero stabilizzato i pozzi in un’area geologicamente complessa e sottoposta alla tettonizzazione dell’Appennino meridionale nel primo Miocene che ha creato una spinta idrostatica dell’unità interna verso quella esterna. Scrissero che nel 1998 Eni e Shell avevano tentato di ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti prodotti dai fanghi alla fine delle perforazioni e originati dai sali disciolti di cloruro, provando sistemi di fanghi al carbonato di potassio. Tutti i pozzi presentavano gli stessi problemi di instabilità delle perforazioni e spostamenti continui degli assi di trivellazione. Nemmeno l’aumento della densità dei fanghi per controbilanciare l’instabilità servì a risolvere i problemi, si aggiunse solo una contaminazione da carbonato. Le provarono tutte in termini di fanghi, e nel 2006 tornarono al cloruro di potassio, senza risolvere l’instabilità dei buchi che facevano.

Pozzi deviati. E così nel 2013 da un lato Eni dichiarava di investire soldi per abbattere la produzione di rifiuti, dall’altro, come alla conferenza di Ravenna, aveva ingegneri che affermavano che in VA tutti i tentativi con fanghi diversi avevano mostrato che ogni pozzo tendeva “a generare grandi volumi di fanghi di perforazione e rifiuti”. Così nel ’98 avevano dovuto importare in Basilicata l’Extreme Lean Profile, tecnologia di perforazione spiegano gli esperti, “per i pozzi deviati o orizzontali”. Nonostante ciò scrissero che al secondo buco a Monte Enoc 10 Or B le tubazioni si ostruirono e la circolazione totale dei fluidi di perforazione si perse mentre l’attrezzatura che dà forza allo strumento che rompe o spacca la roccia fuoriuscì dai tubi nel buco trivellato. Recuperarono l’attrezzatura e fecero un terzo buco, e nonostante dissero d’aver imparato che la caolinite presente nella formazione Irpina presentava “instabilità in presenza di ioni di potassio”, iniziarono a usare prima fanghi a base d’acqua e a 2.400 metri sottoterra per mantenere pulite le tubazioni usarono un sistema di fanghi a base di cloruro di potassio e polimeri, riuscendo tra 2.400 e 3.126 metri a ottenere una deviazione di 33,5°. Dissero che le concentrazioni di sostanze chimiche e le proprietà dei fluidi erano state monitorate costantemente, e che a 2.928 metri ebbero bisogno di usare fanghi più leggeri per tenere sotto controllo le maggiori pressioni. Ma sappiamo dall’ultimo Oil Gate cosa significa monitorare per Eni.

Abbattere i costi. Gli ingegneri Eni fanno conferenze da tempo immemore sulla VA. In fondo è una testing area. Nel ’99, in Svizzera, spiegarono d’aver applicato in alcuni pozzi in la tecnica del Lean Profile (LP, ndr) perché “l’ambiente di trivellazione presentava problemi nella formazione rocciosa”, solita instabilità dei pozzi e perdita di fanghi di circolazione che tendevano a far deviare dalla traiettoria verticale. La tecnica era importante perché avrebbero abbattuto drasticamente tempi e costi di trivellazione in un’area, la VA, che con i suoi 30 pozzi presentava a Eni e Shell un conto salato per l’impatto economico dovuto ai materiali consumati e alle performance di trivellazione. Una tecnica che permetteva il controllo della traiettoria verticale grazie a un sistema di perforazione automatico, l’uso ottimale del quale in fase di perforazione richiedeva 3,8 litri al minuto di fanghi di perforazione (200 litri l’ora, ndr), ed era necessario assicurare anche un ottimale controllo di detriti tirati su perché se ne “producevano grossi quantitativi”. “Attualmente – scrissero – i vincoli ambientali hanno reso l’uso di fanghi a base d’olio impraticabili in VA. Tuttavia quando sono utilizzati fanghi a base d’acqua è necessario prendere in considerazione l’uso di inibitori della roccia sedimentaria e additivi lubrificanti per prevenire i fenomeni di instabilità della formazione”.

Prima del terremoto del ’98. LP fu applicata nel ’97 al pozzo Monte Enoc 9 Or, e l’anno dopo, nel ’98, a Monte Enoc W1. Da ultimo Rocca Rossa 1. Monte Enoc NW1 fu trivellato con una tecnologia tradizionale in 134 giorni al costo di 31.500 dollari al giorno, mentre Monte Enoc W1 grazie alla LP in 81, e anche se vi erano costi addizionali dovuti alla tecnologia produsse meno materiale e meno rifiuti da smaltire con un risparmio di 583.000 dollari. Per trivellare Monte Enoc W1 con la nuova tecnologia spesero 648.000 dollari. Nello scenario VA l’impatto economico della tecnologia LP avrebbe portato un grosso risparmio e sarebbe diventato parte della strategia di sviluppo dell’area. In ogni caso scrissero che l’applicazione della LP era limitata a buchi verticali. Intanto la trivellazione a Monte Enoc W1 si era fermata a 3.200 metri per i soliti problemi di instabilità. A fine agosto 2001 a firma di diversi scienziati uscì lo studio “Significance of earthquake-related anomalies in fuids of Val D’Agri” dove si ipotizzò che in VA le variazioni dei fluidi erano state causate da un terremoto correlato a una “modificazione transitoria della permeabilità della crosta superficiale” coinvolta nel terremoto del 1996. Un monitoraggio a lungo termine dei segnali geochimici avrebbe fornito tutte le informazioni utili sui processi avvenuti in profondità, le relazioni tra le diverse strutture tettoniche e la distribuzione dello stress. Ma non si fece. Certo Injection Induced Seismicity spiega che si sa dal 1960 che la reiniezione a lungo termine di acque di strato ingenera stress geologico in quanto “indebolisce faglie preesistenti con l’aumento della pressione dei pori” nel volume roccioso.

Stressare il sottosuolo per produrre meglio? In “A detailed analysis of wastewater-induced seismicity in the Val d’Agri oil field” l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I’INGV, ndr) nel 2015 ricordò la letteratura scientifica sulla possibilità di terremoti correlati alle acque di strato smaltite. L’aumento della sismicità, spiega l’INGV, e la migrazione di micro terremoti verso future rotture di ampie faglie, sono state osservate e interpretate come dovute alla diffusione dell’aumento della pressione nei pori del volume di roccia coinvolto, e alla migrazione dei fluidi lungo vie idraulicamente conduttive. Alla conferenza di Ravenna nel 2013 Maurizio Giorgioni della Shell aveva affermato “anche se le faglie sono caratterizzate da diversi parametri dimensionali (lunghezza e volume) e architettonici (centro della faglia e zona stratificata di danno), le classificazioni qualitative relative alle proprietà idrauliche delle zone di faglia suggeriscono che entrambe le faglie (normale, e di sovrascorrimento), potrebbero agire come condotte verso la superficie del flusso di fluidi”. Le variazioni direzionali della permeabilità della roccia, disse ancora, sono correlate all’orientamento preferenziale delle fratture, alla loro lunghezza e interconnettività. “Per esempio – specificò –, la roccia attorno al giacimento potrebbe rappresentare il miglior conduttore per il flusso di fluidi lungo il principale orientamento delle fratture presenti”. Nel 2009 l’INGV aveva già scritto che “assieme alle caratteristiche litologiche, stratigrafiche e strutturali lo stress locale del giacimento influenza la produttività della riserva di petrolio e che fratture naturali aperte possono avere caratteristiche produttive preferenziali se allineate al massimo stress orizzontale in regioni tettoniche estese. I risultati, comparati a studi dell’industria petrolifera, indicavano che tale relazione c’era eccome in VA.  Si stuzzicano dunque le faglie in Basilicata come strada per far riaffiorare petrolio in superficie? 

foto1

La reiniezione a Costa Molina 2. In VA si fa sul serio dal ’90 in una riserva calcarenitica fatta di fratture e bassa porosità e prima del ’96 potrebbero aver usato anche fanghi di perforazione a base d’olio. L’acqua di strato associata alla produzione di petrolio in Basilicata dice l’INGV nel 2015, è reiniettata nel pozzo Costa Molina 2 (CM2, ndr) da 2.890 a 3.096 metri sotto terra. Qui i micro terremoti sono stati correlati nello spazio e nel tempo all’attività di reiniezione. Il tasso di sismicità è stato comparato ai dati sulla reiniezione e ai “cambiamenti temporali dei parametri elastici e anisotropici per prevedere variazioni della pressione dei pori interni al volume di roccia circostanti il pozzo di reiniezione”. L’INGV racconta uno sciame sismico iniziato il 2 giugno 2006 e osservato per 11 giorni, sino alla rimozione della rete di registrazione. Sin dal primo giorno di reiniezione furono registrati 69 terremoti dalle sei stazioni vicino CM2. Degno di nota, scrive, è che nessun terremoto è stato rilevato nei pressi di CM2 prima del giugno 2006, e tutti i dati mostravano la stessa identica forma d’onda suggerendo una sorgente e un meccanismo simile. La sismicità è stata registrata durante il 2005/2006 soprattutto in sciami sotto il margine sudovest del bacino roccioso, tra 2 e 6 chilometri di profondità. Un ampio sciame sismico nelle vicinanze del Pertusillo venne correlato ai cambiamenti di volume stagionali d’acqua, mentre gli eventi del giugno 2006 erano concentrati in un esteso volume in direzione sudovest-nordest per 2 chilometri localizzati sotto il pozzo CM2 (foto1a). L’evento più vicino si ebbe un chilometro sotto il fondo del pozzo, e l’elevata velocità delle onde primarie, 5,5km al secondo, fu correlata a una zona di depressione sotterranea, una protuberanza nella Piattaforma Appula perforata dal pozzo CM2 (foto 1b). Il volume roccioso risulta caratterizzato da un’elevata anomalia della velocità delle onde sismiche che indica rocce fratturate e un’elevata pressione di rocce saturate d’acqua.

foto2

Più acque smaltite più terremoti? L’elaborazione dei dati sugli eventi sismici rivelò che appena sotto il pozzo CM2, tra 3,5 e 4,5 chilometri di profondità, c’è una faglia (foto 2b), e che l’evento sismico più vicino era stato registrato appena 900 metri sotto il fondo del pozzo. I terremoti erano confinati all’interno della Piattaforma Appula, e i dati mostravano che si muovevano in direzione nordest-sudovest concordemente allo stress estensionale definito dai dati di rottura di altri due pozzi chiusi (foto 2a). I dati erano stati comparati al tasso di reiniezione giornaliera e alla pressione di pompaggio delle acque di strato (oggi sappiamo che hanno pompato rifiuti, ndr), e raccontarono che la sismicità aveva avuto inizio sin dal primo giorno in cui le acque di strato erano state reiniettate nel sottosuolo, appena tre ore dopo. Il numero massimo di eventi sismici (25, ndr) fu osservato con i più elevati valori di fluidi pompati nel sottosuolo (700 metri cubi al giorno, ndr) e di pressione (10MPa, ndr), e diminuivano a decrescere di tali parametri di reiniezione, risultando assenti quando veniva interrotta. E soprattutto, che il massimo magnitudo giornaliero registrato era correlato all’attività di reiniezione, i terremoti più alti avvenivano quando il tasso di reiniezione e pressione erano al massimo.

Quelle fratture modificate dai fluidi. Scrivono che l’iniziale incremento correlato all’aumento della reiniezione potrebbe evidenziare l’accumulo di pressione dei pori nei carbonati saturati. La massima sismicità del 8 giugno 2006 associata alle maggiori quantità reiniettate e ai più alti terremoti (ML ≥ 1,5, ndr) indicava una depressurizzazione del sistema in risposta al crescere della sismicità. L’INGV dice pure che i dati relativi al pozzo AG11 forniscono la media di velocità e la direzione, ortogonale allo stress minimo orizzontale subito, suggerendo la “presenza di fratture aperte e riempite di fluidi verso ovest-nord-ovest e est-nord-est nel volume di roccia circostante il gruppo di eventi sismici”. E che il capovolgimento di 90° nella polarizzazione della direzione della velocità osservata l’8 giugno, potrebbe essere correlato alla maggiore reiniezione, suggerendo “un ri-arrangiamento della distribuzione delle fratture aperte a seguito dell’aumento della pressione dei fluidi nei pori del volume roccioso”. Tutti i periodi di alta sismicità erano correlati ai picchi di pressione di reiniezione, come nel 2006 e nel 2010.

Le vie idrauliche sono infinite. L’evoluzione spazio temporale della sismicità mostrò che gli eventi verso nordest aumentarono rapidamente durante giugno-ottobre 2006, estendendosi per 3 chilometri. La sismicità continuò a migrare verso sudovest e nordest per tutto il 2007 e il 2008, rivelandosi lungo 5 chilometri di faglia, e stabilizzandosi dall’aprile 2008. In seguito fu caratterizzata da eventi sparsi circostanti la zona di faglia. L’INGV deduce che le perturbazioni nella pressione dei pori del volume roccioso sono indotte dalla reiniezione propagata lungo la zona di faglia per almeno 5 chilometri lungo la protuberanza sotterranea. E scrivono pure che la “zona di faglia corrisponde plausibilmente a una via sotterranea idraulicamente connessa che incentiva la diffusione della pressione dei pori rocciosi”. E testa l’ipotesi, scrivendo che dalle misure della distribuzione spazio temporale del 90% della sismicità tra il 2 e il 12 giugno 2006 si è riscontrato che i terremoti concordano con una certa diffusione idraulica isotropica e che analizzata, la sismicità tra giugno 2006 e dicembre 2013, ha mostrato valori molto alti di permeabilità dedotti dalla diffusività idraulica e “coerenti con l’elevata produttività della riserva della Val D’Agri”.

Stuzzicare faglie. Valori di permeabilità simili furono ottenuti dalla reiniezione e dall’interferenza su un pozzo in fratture calcarenitiche tra 2,5 e 3,5 chilometri del giacimento Cavone in Nord Italia, quello al centro dello scandalo sul rapporto Ichese che descrisse il possibile ruolo della sismicità indotta dall’attività di reiniezione per il terremoto del 2012 in Emilia Romagna. Le nostre postazioni, scrive INGV, suggeriscono che la preesistente protuberanza della faglia è completamente contenuta dentro la riserva carbonatica e oltrepassata da sequenze di flysh e shale in quanto pochi e sparsi piccoli eventi sono accaduti al di sopra della Piattaforma Appula. La faglia è collocata nel muro di blocco di faglia a sudovest della protuberanza che lega il bacino e taglia per 1,4 chilometri dal pozzo. Tra il 10 e il 15 marzo 2015 gli scienziati dell’INGV erano andati a parlare a Davos. Questa volta di “sismicità iniziale” indotta dalla reiniezione di acque di scarico. La zona di faglia dissero, è collocata appena sotto il pozzo e alcuni meccanismi estensionali sono coerenti con lo stress locale provocato dalla rottura di pozzi a olio. Dopo sette anni di reiniezione dissero, un totale di 210 terremoti erano avvenuti entro 5 chilometri da CM2, con una magnitudo massima di 2,3°. E affermarono chiaramente che i risultati del monitoraggio continuo della sismicità con reti con elevati standard e procedure, descrivevano la diffusione della sismicità su una faglia attiva preesistente che potrebbe essere ri-mobilizzata dai cambiamenti della pressione dei pori rocciosi causati dai pozzi di reiniezione.

foto3

Tra parentesi. Nel 2015 l’INGV lo scrive chiaramente che “il pericolo sismico nella regione è una questione importante, e si deve esigere un attento monitoraggio degli eventi correlati allo sfruttamento del giacimento petrolifero” (foto3), tredici anni prima due ingegneri Eni raccontarono sulla rivista della Society of Petroleum Engineers cosa facevano in VA. “Al momento nel Progetto di ottimizzazione delle operazioni di perforazione – scrissero –, i programmi sono stati svolti in un ambiente che vede aumentare tempi e costi a causa di pozzi sempre più problematici”. Gli ingegneri misero tra parentesi tra i problemi l’estensione da raggiungere, i “drain hole” (pozzi o brevi condotte attraverso cui scorre il flusso dei fluidi, e utili a stabilizzare la pressione, ndr), i pozzi orizzontali, e persino pozzi multilaterali (foto4). “Seguendo questi nuovi processi strutturati per l’ottimizzazione continua – scrissero –, l’ufficio centrale del Distretto Eni di Ravenna sta sviluppando un primo Piano di ottimizzazione delle operazioni di perforazione in Val D’Agri (DOVA, ndr), basato sull’analisi successiva dei pozzi offset (pozzi usati da guida per pozzi proposti, ndr) e su un ciclo di apprendimento”. E misero ancora tra parentesi i pozzi in montagna in VA come area che storicamente presentava un ambiente di trivellazione molto pericoloso. I pozzi offset avevano avuto bisogno di oltre 300 giorni di perforazione per via di quello che chiamarono “over-thrust nella geologia locale”, e che le scienze geologiche ci spiegano come una “faglia opposta in cui le rocce della superficie superiore di un piano di faglia sono mosse sulle rocce della superficie inferiore”.

foto4

Tecnologie. Il primo obiettivo del DOVA, dissero, era stato il pozzo Agri 1 e tre pozzi offset dell’area di Cerro Falcone. Il secondo obiettivo il pozzo Alli 3 Or e il relativo pozzo offset Alli 1 col suo drain-hole di rientro Alli 1 Or. Ad Alli 1 Or scorrevano fluidi per mantenere in pressione le operazioni di trivellazione. Studi dettagliati dei pozzi offset scrissero, avevano identificato in VA problemi di perforazione come l’incertezza litologica, l’instabilità del pozzo trivellato e conseguente rottura delle condotte, e perdita di fanghi. Era tanto importante la perdita di fanghi nell’area che tra le soluzioni sviluppate dal DOVA c’era la “Creazione e uso di Schemi Decisionali sulla perdita di fanghi”. Stando a uno studio del 2009 il pozzo deviato con l’Extreme Lean profile fu perforato durante il 2007/2008 e si trattava di Cerro Falcone 4 OR. Ma in un altro studio scrissero che l’esperienza dei pozzi deviati era iniziata dal ’97 ed era ancora limitata a una inclinazione di 30° anche se con Cerro Falcone 5 Or avevano raggiunto i 60. Per ridurre la resistenza era stato usato un particolare tipo di fanghi di perforazione composto da perle di stirene plastico che agivano da lubrificante senza cambiare le proprietà reologiche dei fluidi, ossia il modo in cui la roccia veniva deformata e sgretolata per effetto delle sollecitazioni. Stirene che può determinare alterazioni del sangue come la riduzione dei globuli bianchi con linfocitosi relativa, alterazioni della funzionalità epatica, ed è cancerogeno. Ma in fondo l’obiettivo era risparmiare costi. E prima di Costa Molina i fluidi di processo si reiniettavano in qualche altro buco.

Gli amici del fracking? Nel ’99 Eni presentava studi sulla VA oltre che con Hulliburton con l’altra società statunitense Baker Hughes Inteq (BHI, ndr), specializzata in fluidi di fratturazione. Nel 2008 un lavoratore della BHI era arrivato in un pronto soccorso inzuppato di fluido di fratturazione e per i vapori tossici emanati dai vestiti del paziente dovettero evacuare l’intero pronto soccorso. Nel 2014 la BHI finiva attenzionata per l’uso di elementi chimici segreti usati nei fluidi che in Usa stavano facendo scempio in molte falde attorno a giacimenti. E che fanno quindici anni prima con Eni in VA? Sviluppano la Ultra Deep Horizontal Drilling, un piano che prevede Monte Enoc 9 Or, Monte Enoc 1 e Monte Enoc NW1. Dicono che in superficie i buchi saranno i più verticali possibili, e che i risultati positivi di tale strategia sono di rendere l’ambiente perforativo ottimo per le sezioni più profonde al fine di procedere orizzontalmente. Sanno che nell’intera area c’è la tendenza a deviare trivellazioni a causa delle formazioni rocciose, che ci sono problemi seri di stabilità, ma per il giacimento Monte Alpi dicono, composto da Monte Enoc NW1, Monte Enoc 2 e Monte Enoc 9 OR, gli ultimi due pozzi sono “orizzontali”. A Monte Enoc 9 Or da 3.711 metri in poi continuano a perforare orizzontalmente e dall’iniziale inclinazione di 63° arrivano prima a 80, infine dopo 450 metri raggiungono i 90, con una svolta in direzione nordovest. Risparmiarono 1,6 milioni di dollari. Ovviamente quali fluidi usarono non lo scrissero.