Alleghiamo le immagini girate col drone l’1 febbraio scorso. Notiamo che 3 dei 4 serbatoi del COVA sembrano in realtà vuoti o al minimo della capienza: manutenzione in corso, uno col tetto galleggiante apparentemente molto basso, chi invece completamente vuoto.

 

Solo un serbatoi sembra pieno, con il tetto galleggiante a livello pare ottimale, ma gli altri? L’immagine visiva da noi raccolta corrisponde ad un regime di funzionamento ridotto, è l’effetto di processi produttivi ignoti all’opinione pubblica o c’è dell’altro? Intanto continua in Val d’Agri l’emungimento dell’acqua di falda senza un parere che attesti il livello di contaminazione dei suoli sotterranei ove le falde scorrono, con una quantità di terreno ad oggi ignota che dovrebbe essere diventata a sua volta una sorgente indiretta di contaminazione essendo entrata in contatto col petrolio fuoriuscito dal COVA e quindi le autorità ancora non dicono per quanto tempo dovranno emungere acqua sporca di petrolio. Rimarchiamo il fatto che la VIS del Prof. Bianchi rimane lettera morta per la politica che pare stia aspettando dall’ISS un parere sulla sua attendibilità, nell’oblio i reali danni e  la modellistica di dispersione della perdita di greggio dal COVA.

Durante la nostra ricognizione di febbraio, l’area attorno al COVA si presentava ormai come un sito di stoccaggio temporaneo di rifiuti liquidi, decine i camion-cisterna parcheggiati vicino il COVA, nonchè i rifiuti terrosi contenuti nelle big bags qui fotografate, che un mese fa sostavano a bordo strada in balia delle intemperie, in sacchi logori, con codici CER apparentemente innocui.

Abbiamo segnalato alle autorità le verosimili discrepanze che emergono comparando il carteggio Griffa ed i relativi documenti ufficiali richiamati nel  medesimo, con l’esito delle  varie ispezioni Unmig svolte al Cova: com’è possibile che l’Unmig ufficialmente non si sia mai accorto delle perdite ai serbatoi del Cova e delle discordanze nelle qualità vuoi del greggio portato a Taranto, vuoi delle emissioni/flussi gassosi dell’impianto che rimanevano invariate nonostante l’aumento di produzione? Da anni denunciamo la bassissima trasparenza dell’Unmig nell’interpretare in maniera assai restrittiva le norme sulla trasparenza ambientale, comportandosi di fatto non da ufficio pubblico ma da enclave dei petrolieri nel ministero dello sviluppo economico. E’ palese che l’opera di vigilanza mineraria in Italia sia ferma dal punto di vista tecnico oltre che legislativo, all’età della pietra, anzi di Rockefeller, con la connivenza di una politica che volutamente non vede e non individua le pieghe legislative che sono per i petrolieri il “paradiso Italia”.

Di Giorgio Santoriello

Laureato in Lettere, attivista amante della Basilicata ma poco dei lucani.